Il seguente contributo è parte della rubrica “Europa al voto” nata dalla collaborazione tra La Nuova Europa e la redazione de Lo Spiegone. Questo articolo è a cura di Alberto Pedrielli

 

Fin dal Trattato di Roma che nel 1957 istituì la Comunità economica europea, la questione di genere è sempre stata al centro del progetto comunitario. Le istituzioni europee nel corso del tempo hanno cercato di affrontare le discriminazioni multiple, tipiche delle società patriarcali, attraverso una serie di strategie. Le quali, tuttavia, non sono riuscite a relegare al passato quella che, per tanti Paesi membri, è tutt’oggi un’amara realtà.

Il cammino verso la parità

Il principio della parità di genere compare per la prima volta in ambito comunitario in riferimento alla dimensione occupazionale. L’articolo 119 del Trattato di Roma stabilì infatti la parità di retribuzione tra uomini e donne. Istruzione, accesso al lavoro, alla promozione professionale e condizioni di lavoro furono i grandi assi sui quali si strutturarono in seguito le politiche comunitarie.

A partire dagli anni Ottanta, lo sguardo europeo si allargò fino a comprendere una piena dimensione sociale. Le istituzioni europee col tempo aumentarono e diversificarono le loro aree di intervento. Questo si tradusse, in merito alla parità di genere, in una serie di programmi e strategie, volte a contrastare le disuguaglianze e ridurre così il divario di origine patriarcale.

Tra le proposte più innovative, il quarto programma d’azione (1996-2000) si concentrò sul principio del cosiddetto gender mainstreaming. Riconoscendo la complessità e la profondità della questione nel tessuto sociale, il programma invitava i decisori politici ad adottare una prospettiva di genere in tutti i settori.

Il gender mainstreaming è una delle componenti chiave anche della EU Gender Equality Strategy presentata dalla Commissione europea nel marzo 2020 e volta a realizzare una parità di genere effettiva nell’Unione. Il piano ha individuato tre obiettivi fondamentali e complementari tra loro. Combattere la violenza di genere, garantire pari opportunità di realizzazione professionale, sostenere una pari partecipazione all’economia e alla società.

La violenza contro le donne

Le ultime iniziative, tra cui la direttiva europea contro la violenza di genere, hanno ampliato ulteriormente il raggio delle istituzioni europee. Per aggirare la situazione di stallo venutasi a creare rispetto all’adesione dell’Ue alla Convenzione di Istanbul, nel marzo 2022 la Commissione ha presentato al Parlamento il primo testo organico volto alla repressione della violenza contro le donne.

Il dibattito che ha portato alla formulazione testimonia le difficoltà dell’Unione. Senza dimenticare quello che ne è seguito, a causa della mancata definizione di stupro sulla base del principio del consenso. Da un lato, gli sforzi fatti a livello comunitario e nazionale si riflettono negli indicatori che posizionano gli Stati membri come leader globali nella parità di genere. Dall’altro, la violenza contro le donne è tutt’altro che un ricordo del passato, e le lacune, anche a livello normativo, pesano.

Le donne europee continuano a subire forme di violenza. Da un capo all’altro di un continuum, queste vanno dagli stereotipi sessisti ai femminicidi, passando per una vasta gamma di comportamenti estremamente diffusi. Che concorrono a creare quello che è un vero e proprio clima di terrore, nel quale vivono la stragrande maggioranza di donne e ragazze.

Secondo l’Agenzia europea dei diritti fondamentali, l’83% delle giovani donne (di età compresa tra 16 e 29 anni) evita determinate situazioni o luoghi per paura di essere aggredite fisicamente o sessualmente. Paura più che giustificata alla luce dell’estrema frequenza con cui si verificano questi fenomeni. Le stime più recenti indicano che ogni anno 2300 donne vengono uccise in Europa da partner o ex-partner.

Il volto politico della violenza

La violenza contro le donne però non si limita all’uso della forza. Le discriminazioni attraversano ogni ambito della vita, in cui le prospettive di realizzazione individuale si scontrano con enormi barriere. Barriere rafforzate dalle rappresentazioni culturali di genere che prendono piede nelle diverse sfere della nostra società.

Come testimonia una letteratura sempre più ampia di studi sui media, l’esposizione a queste rappresentazioni rafforza le credenze negli stereotipi. Promuovendo il machismo e, di conseguenza, soffocando le ambizioni delle donne. Lo si vede chiaramente guardando a uno degli indicatori più utilizzati per mettere a fuoco il divario di genere. Quello della rappresentanza politica.

Dopo più di un secolo dall’affermazione delle donne nella vita pubblica di tanti Paesi, istituzioni europee e nazionali registrano ancora una sottorappresentazione femminile, nonostante i passi avanti. All’Euro camera, ad esempio, da un basso 16,6% nella prima legislatura eletta direttamente nel 1979, la percentuale di donne deputate è aumentata costantemente, arrivando a toccare il 41% nel 2019.

Anche a livello nazionale, gli uomini sono ancora più presenti delle donne ai vertici. Ma ci sono casi e casi. Nell’ultimo decennio, il numero delle donne è aumentato in tutti i Parlamenti nazionali, tranne Germania e Slovenia. Allo stesso tempo, alla fine del 2023 la quota di ministri donna (rispetto agli omologhi maschili) variava da un livello più alto in Finlandia, Lituania, Paesi Bassi, Belgio e Spagna, a un livello identico in Portogallo e Francia, a un livello molto basso – inferiore al 20% – a Malta, Repubblica Ceca, Grecia, Polonia e Slovacchia. Fino a essere inesistente in Ungheria.

Il soffitto economico

Le strategie della Cee e poi dell’Ue hanno sempre riservato grande attenzione alla dimensione economica. Il mercato del lavoro è probabilmente uno dei luoghi, metaforici e non, in cui si sono registrati i maggiori cambiamenti nell’ultimo secolo. In questo scenario, due sono le tendenze che hanno accompagnato fin qui l’affermazione delle donne.

In primo luogo, il divario retributivo tra lavoratori e lavoratrici si sta restringendo sempre di più. Se nel 2013 la differenza tra gli stipendi era del 16,4%, otto anni più tardi questa corrispondeva a meno del 13%. In secondo luogo, la partecipazione al mondo del lavoro è costantemente aumentata. Oggi il tasso di occupazione per le donne nell’Ue è pari al 66%.

Vi è però un altro fronte su cui ci sono segnali molto meno incoraggianti. È quello che riguarda il cosiddetto soffitto di vetro. L’espressione si riferisce alla difficoltà, da parte delle categorie sociali che non corrispondono al modello dominante (maschile e bianco), nel vedersi riconosciuto il proprio valore. E quindi, di risalire le gerarchie aziendali. Un dato su tutti: secondo la media europea, su tre consiglieri di amministrazione, solo una è donna

Le sfide di genere dell’Ue

Le prossime elezioni europee saranno una tappa fondamentale nel percorso verso la parità di genere in Ue. A destare le maggiori preoccupazioni, come sottolinea il network femminista Women Against Violence Europe, è la probabile crescita nei consensi delle forze estremiste di destra.

Nei Paesi in cui sono andati al potere, questi partiti sono stati protagonisti di una restaurazione conservatrice, volta a restringere il perimetro dell’emancipazione femminile. Un esempio degli scontri che si registrano su più livelli è quello rappresentato dall’interruzione volontaria di gravidanza. Mentre il Parlamento europeo intende includere l’aborto nei diritti fondamentali dell’Unione, molti Stati, compresa l’Italia, assistono a una regressione su questo fronte.

Nel lanciare la Strategia per la parità di genere, la presidente della Commissione Ursula von der Leyen quattro anni fa sosteneva come “non dobbiamo aver paura di essere fieri di dove siamo arrivati o di essere ambiziosi per il nostro futuro”. La sfida dell’Ue, dopo il voto, sarà proprio quella di superare, finalmente, un binomio fin qui inscindibile.

 

Fonti e approfondimenti