I giovani sono sempre più distanti dalla politica: un problema spesso additato come “pigrizia” nell’informarsi o come “disinteresse” rispetto alle dinamiche sociali nazionali ed europee. È utile però interrogarsi su quale sia la radice di questo fenomeno e se i giovani di oggi si sentono o meno rappresentati dalle istituzioni.

 

L’8 e 9 giugno circa 60 milioni di italiani saranno chiamati a esprimere le proprie preferenze per i componenti del Parlamento Europeo nella legislatura 2024-2029. Tra questi 60 milioni di persone, ci sono circa 3 milioni di giovani italiani che voteranno per la prima volta: il terzo valore più alto in Unione Europea, preceduto da Germania e Francia. Il potere del voto dei giovani è quindi fondamentale espressione delle volontà della fascia 18-30. Tuttavia, è da anni che si rimarca la distanza tra i giovani e la politica, a causa della scarsa fiducia nel legame tra giovani e istituzioni.

Secondo un Articolo di Eligo, i giovani sono distanti dalla politica e come conseguenza vi è un astensionismo maggiore in seno alle elezioni europee per diverse motivazioni: mancanza di rappresentanza; carenza di informazione; insoddisfazione verso i partiti; scarsa fiducia nelle istituzioni e non da ultimi problemi di accessibilità relativi alla distanza dalla propria residenza (parzialmente risolti con la battaglia del voto fuorisede).

 

Un divario generazionale che appare evidente guardando all’emiciclo uscente.

Attualmente l’età media degli europarlamentari è di circa 50 anni. L’europarlamentare più giovane della legislatura europarlamentare 2019-2024 di nazionalità italiana ha 30 anni, il deputato Mario Furore del Movimento Cinque Stelle, facente parte del gruppo parlamentare dei Non Iscritti. È bene notare quindi che la fascia 18-30 anni è totalmente scoperta nelle sedi istituzionali e senza alcun tipo di rappresentanza. Mentre negli altri Paesi europei l’età dell’elettorato passivo, ovvero l’età in cui si può essere eletti per il Parlamento europeo, è di 18 anni, solo in Italia e in Grecia c’è il limite dei 25 anni. Questa differenziazione deriva dall’Atto elettorale europeo del 1976, che permette agli stati di decidere in autonomia l’età minima.

La problematica della lacunosa rappresentanza giovanile è stata sollevata di recente da Eduxo, un’Associazione di Promozione Sociale attiva in Italia su tutto il territorio nazionale, a Bruxelles e a Barcellona.

Oltre la sua famosa campagna #LoveEducation avente come scopo quello di introdurre l’educazione affettiva nelle scuole, Eduxo ha appena lanciato la campagna YouthPowerEU con l’obiettivo di abbassare l’età minima dell’elettorato passivo a 18 anni, in conformità con altri Stati europei.

Alla base di questa iniziativa la convinzione dei promotori che la mancanza di “voci giovanili” nelle istituzioni mini la rappresentatività demografica e sociale. Abbassare la soglia anagrafica, infatti, permetterebbe maggiore equilibrio nella rappresentanza generazionale, una riduzione della disaffezione e dell’alienazione giovanile rispetto alla politica nazionale ed europea e la crescita dello sviluppo della leadership giovanile, che potrebbe portare idee innovative e un approccio ai problemi più dinamico. Chiaramente sorgono anche obiezioni da parte dell’opinione pubblica, come il probabile tasso di inesperienza della fascia giovanile che può essere considerata poco competente nel contesto delle istituzioni europee.

A parlarne è la stessa founder di Eduxo, Isabella Sofia De Gregorio, che ci racconta cosa l’ha spinta a compiere questo passo in più: “Il tutto è nato da un’esperienza personale: mi sarebbe piaciuto candidarmi in questa legislatura. Sentivo fosse il momento giusto e avevo fatto abbastanza anni di politica per sapere su quali lotte investire le mie energie anche a livello personale. Mi sono informata e ho iniziato a raccontare di questo limite d’età al team Eueduxo, anche perché ho scoperto che in Belgio mi sarei potuta candidare, mentre in Italia no. Mi sembrava assurdo”

L’argomento dell’età minima per candidarsi è stato oggetto di dibattito all’interno dello stesso team di Eduxo. Con la firma dell’Atto Unico Europeo nel 1976, gli Stati sono completamente autonomi nel decidere l’età minima per il voto, per la candidatura, le soglie di sbarramento per i partiti e le caratteristiche del voto alle Elezioni Europee (per esempio la presenza o meno di circoscrizioni e la loro ampiezza) è qui che si definisce la differenza storica di questa caratteristica elettorale democratica. A livello culturale invece “c’è questa percezione in molti paesi che essere eletti al Parlamento europeo sia più importante rispetto a quello italiano, non a livello di gerarchia delle fonti del diritto, ma proprio in senso culturale. C’è una tendenza a dire, nel caso dell’Italia, che in Europa ci debbano andare persone adulte e con esperienza. Come se uno dovesse andare in Parlamento Europeo perché per 20-30 anni ha fatto una professione, come se fossi “valido”.”

“Questa narrativa – continua – è presente solo in pochissimi stati. L’età media dei candidati in tutte le liste è pari a 50 anni, quindi è veramente molto alta. A livello storico e culturale l’Italia ha questo problema. Lo Stato può decidere le soglie di sbarramento, l’età minima per votare, per candidarsi, il numero e ampiezza delle circoscrizioni. Noi abbiamo scelto di focalizzarci su questo tema considerando gli impatti che questa situazione ha. Gli Stati che hanno abbassato l’età minima (cioè, che prima avevano un’età superiore ai 18 anni, tipo 21 e 25. Un esempio è il Belgio, che ha abbassato proprio per le europee 2024 l’età minima per candidarsi da 21 a 18, e per votare da 18 a 16 anni), lo hanno fatto tramite ragionamento e dibattito politico, aperto alla cittadinanza, Gli stati che hanno abbassato l’età hanno visto che ci sono più possibilità che più giovani sono stati eletti. È attivo e funziona anche per smantellare totalmente questi stereotipi e pregiudizi sui giovani in politica e in generale in Italia perché a livello politico e culturale ci sono paesi d’Europa che hanno problemi quando i giovani sono attivi in politica. La campagna vuole visibilizzare i giovani attivi in politica in ogni parte d’Italia, i giovani impegnati, che nella propria quotidianità lavorano per cambiare le cose”

Abbassare l’età minima per l’elettorato passivo rappresenta quindi un’opportunità, di maggiore rappresentanza e di “una ventata” di aria fresca.

“Quello che vogliamo comunicare è che, uno dei dati è che, quando si abbassa l’età della candidatura ci sono più giovani candidati, e attualmente la più giovane eletta in parlamento europeo è di 21 anni, ma il suo Paese aveva l’età minima a 18. Tu dai la possibilità a 18 anni di candidarsi ma è molto più probabile che persone che hanno un’età inferiore ai 25 ma superiore ai 18, risultino elette. Crediamo e sarebbe bellissimo se l’Italia eleggesse un diciottenne, sarebbe un grosso cambiamento. Ma voglio che passi questo: garantire un diritto, qualsiasi esso sia, ora parliamo il diritto di candidarsi o rappresentare qualcuno, garantisce alle altre persone votare un loro coetaneo, cosa che tutte le altre generazioni hanno il privilegio, e l’unica che non lo ha è la fascia giovanile, che in Italia equivale a dire under 35. Garantire un diritto significa questo: vivendo in democrazia, se io sono inadeguato e non posso rappresentare quelle persone le persone non mi voteranno. Non è l’età il criterio per definire inadeguatezza di una persona per ricoprire un incarico. Non è l’età a definire se una persona è preparata o non preparata. Dipende dalla persona. Il voto decide. Eduxo vuole avvantaggiare la partecipazione politica giovanile, ci sono dati di organismi indipendenti che dicono che l’età media dei candidati è di 50 anni. E questo è un problema a livello demografico perché non rappresenti una fascia della popolazione. Perché i diciottenni possono investire in borsa o sono adeguati per altre mansioni, possono fare tantissime cose e non candidarsi?”

 

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