L’inserimento della tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi nella Costituzione italiana, approvato dalla Camera dei Deputati l’8 febbraio 2022, è una svolta che si attendeva da molto, e che forse è stata provocata anche da un patto importante che riguarda l’intera Europa: il Green Deal.

Un approfondimento su cosa significa in concreto, e da dove nasce, il Green Deal europeo, è stato oggetto del seminario condotto da Teresa Moschetta, giurista dell’Università Roma Tre, nell’ambito della Scuola d’Europa a Roma presso il Liceo Mamiani. È dall’ottobre 1987, con il rapporto intitolato “Our Common Future” delle Nazioni Unite, che l’ambiente e la sua protezione sono stati segnalati alle autorità politiche come priorità da seguire. Ma dovettero passare dieci anni prima di un protocollo globale: quello di Kyoto, firmato nel 1997. Da allora molto è cambiato nella società: da una presa di coscienza dell’impossibilità di continuare con l’economia prettamente consumistica, fonte anche di forti diseguaglianze e sfruttamenti, a eventi catastrofici che hanno colpito e condizionato fortemente il benessere di tutti, inclusa la pandemia da Covid-19.

Il Green Deal europeo è stato ufficialmente approvato proprio nel dicembre 2019, poco prima che la pandemia stravolgesse le nostre vite sottolineando l’urgenza di un cambiamento di rotta. Gli obiettivi presenti nel Green Deal Europeo si rifanno a quelli stabiliti da un’altra conferenza ambientale: quella di Parigi 2016, che ha impostato a livello globale un protocollo da seguire per una transazione ecologica che non provochi shock economici troppo dannosi. Ogni nazione, in base alle sue possibilità, può fare qualcosa per migliorare, o almeno non peggiorare, la situazione attuale. L’idea è di riuscire a raggiungere l’indipendenza totale dalle fonti fossili entro il 2030 per tutti i firmatari.

L’Europa agisce come blocco comune: regolamenti contro l’inquinamento e a favore di ecosistemi, investimenti su energie rinnovabili, promozione di modelli di consumo più sostenibili, sostegno economico alle aziende che scelgono di investire sul cambiamento dei processi produttivi. Ma purtroppo non sembra bastare: non solo per la forte di resistenza di alcune nazioni del blocco di Visegràd come Ungheria e Polonia, che ha scelto di non partecipare al patto.  Ma anche per la scelta delle fonti di energia: è tornata infatti, per esempio da parte della Francia, l’idea di utilizzare e anzi potenziare l’uso del nucleare, abolito in Italia dal referendum nel 1987 (un anno dopo l’incidente di Chernobyl del 26 aprile 1986) e dalle associazioni ambientaliste. La produzione delle auto elettriche è ostacolata dalla scarsità di microchip sul mercato. E sono solo alcuni dei problemi che ogni paese dell’Unione si ritrova ad affrontare. Sarà difficile, trattandosi comunque di un patto non vincolante. Ma questo non deve scoraggiare noi cittadini europei a vigilare.

Ogni cittadino deve impegnarsi ogni giorno a migliorare, anche con piccoli gesti, il suo stile di vita e premere a livello politico, anche con proposte dirette, affinché si mantengano gli impegni presi nella conferenza di Parigi prima e nel patto europeo poi. Ne va del nostro futuro.