Come nel periodo pre risorgimentale l’Italia vive una fase difficile, quasi priva di energie che la tengano insieme. Tre segnali indicano la vera emergenza che sta correndo: la secessione tra Nord e Sud, ricchi e poveri, residenti e immigrati. Il primo indicatore della disunità d’Italia è il potere d’acquisto. Tutto il Nord, più Toscana ed Emilia Romagna, è in prima classe, insieme alle zone più ricche della Francia, della Germania, della Finlandia, dei Paesi Bassi, dell’Austria e del Sud della Gran Bretagna e dell’Irlanda. Il Centro e il Mezzogiorno stanno invece scivolando in basso alla classifica, dove troviamo Repubblica Ceca, Slovenia, Slovacchia, Grecia e il Sud della Spagna. Il progetto sulle autonomie regionali
vorrebbe rafforzare le tre aree che producono il 40% del Pil nazionale ma alla fine non fa che incrementare la voglia di secessione in un paese che è già abbastanza diviso, almeno dal 2001, anno dell’adozione della moneta unica e della riforma del Titolo V della Costituzione che ha amplificato il contenzioso Stato-Regioni (100 all’anno), e che ha subito la peggiore caduta della ricchezza negli ultimi dieci anni avendo peraltro una crescita negativa pro capite nel periodo 2007- 2016, unico caso nel G7.
La seconda spia è la modalità di formazione della ricchezza. Secondo una recente ricerca della Banca d’Italia, il benessere del paese cresce grazie alle oscillazioni immobiliari mentre declina a causa dell’immigrazione. La variazione di prezzo delle case si è riflessa in misura significativa nel rapporto tra ricchezza e PIL, tanto che ben due terzi dell’aumento del rapporto tra ricchezza delle famiglie e prodotto interno lordo, sarebbe dovuto alla crescita dei prezzi reali delle
abitazioni, a sua volta attribuibile in buona misura all’aumento del costo dei terreni fabbricabili. Nello stesso tempo dal 2008 al 2014 la quota di componenti in povertà relativa è invece divenuta decisamente crescente e tale aumento è dovuto, sempre secondo lo studio, all’intensificarsi dei fenomeni migratori. La quota di poveri immigrati è infatti cresciuta nel corso degli anni in modo sostenuto, portandosi da circa il 10% dei primi anni novanta (peraltro in linea con la restante parte di popolazione) a oltre il 30 % degli ultimi anni. Questa doppia velocità di benessere e malessere sociale non può che creare un’ulteriore frattura tra italiani e immigrati, già divisi dalla chiusura dei porti e dal cambio di rotta del governo nella politica di sicurezza. Ma ben prima dell’epoca degli sbarchi della seconda ondata di immigrazione, gli italiani stessi si sono impoveriti. Almeno stando alle ultime ricerche. Un report del Cep di Friburgo, che ha fatto molto discutere per il metodo scientifico prossima alla provocazione, ha avuto però il merito di violare un tabù e ammettere che l’Italia sarebbe il paese che ci ha rimesso
di più dall’Unione Monetaria. La Germania, dal 1999 al 2017 ha guadagnato in prosperità complessivamente 1.893 miliardi di euro, pari a circa 23.116 euro per abitante. Mentre in Italia l’avvento dell’euro avrebbe comportato addirittura la perdita di 4.300 miliardi, pari a tutta la ricchezza finanziaria dei suoi abitanti e a quasi il doppio del debito pubblico, il che fa 73.605 a testa. Una bomba atomica su un intero sistema economico e industriale. Probabilmente non è andata così, ma esistono altre ricerche che certificano una indubbia perdita di potere d’acquisto della classe media e le ultime dichiarazioni di Romano Prodi, che ha ammesso come nel 2002 in Italia si siano verificati fraudolenti aumenti dei prezzi di molti generi di consumo, confermano che un problema c’è stato. Indubbiamente. Non c’è da stupirsi dunque se ancora oggi il 22% della popolazione si dice nostalgico della lira. Si è impoverito per un changeover troppo alto, per arrotondamenti dei prezzi e per fenomeni speculativi che in primo luogo hanno colpito i prezzi delle case, aumentando (o diminuendo per chi era in affitto) la ricchezza degli italiani di cui al punto due. Sono solo tre esempi, cui se ne potrebbero aggiungere molti altri, di come siamo cambiati. Impoverimento, perdita di potere d’acquisto, paura degli stranieri. Sono i fenomeni di cui si discute con maggiore intensità, a volte prossima alla violenza per ora solo verbale, in questo primo anno di governo sovranista. Non scaturiscono da percezioni sbagliate ma rappresentano una reale condizione di milioni di persone. L’Italia non solo è in recessione, situazione da cui prima o poi si esce con delle buone politiche economiche. È divisa e fortemente indebolita nella sua comunità. Nessuno se ne approfitti.