di Alberto Toscano
E’ cominciato il « dicembre nero » francese. E non è detto che prosegua anche a gennaio. Sarà molto probabilmente un mese (e forse più) di scioperi, manifestazioni, incidenti, polemiche e vita dura per tutti quanti. Previsione pessimistica ? Forse. Ipotesi plausibile ? Certamente. La pietra dello scandalo è la riforma delle pensioni, per cui sono scattate già le prime proteste, voluta dal governo macronista del primo ministro Edouard Philippe. Uomo di dialogo, quest’ultimo ha fatto molto per cercare un’intesa con le parti sociali prima di varare il suo progetto. A poco per ora sono serviti gli incontri governo-sindacati. Ma i margini di compromesso sono scarsissimi quando è in gioco il settore francese dei trasporti ferroviari, i cui dipendenti beneficiano tradizionalmente di condizioni molto favorevoli, potendo lasciare il lavoro intorno ai 55 anni d’età. Il governo ipotizza meccanismi che entreranno in vigore solo per i nuovi assunti, ma per la maggior parte dei sindacati questo non cambia nulla. La risposta è « no ». Punto e basta. Un « no » durissimo sulle labbra della CGT (la tradizionale confederazione sindacale filocomunista), di Force Ouvrière (un tempo percepita come una UIL francese, oggi durissima col governo), di SUD (confederazione più movimentista), delle organizzazioni studentesche e di tanti sindacati di categoria. Le parole di Edoaurd Philippe – « Vogliamo un regime pensionistico più stabile, più sicuro e più solido al posto dei 42 sistemi esistenti oggi in Francia » – si scontrano con un rifiuto dal sapore al tempo stesso politico e corporatista.
Però i problemi reali ci sono e sono grossi. Il « no » alla riforma pensionistica si salda con forme di malcontento che vanno dalle ristrutturazioni aziendali alla situazione, sempre più seria, degli ospedali. I problemi del personale medico e soprattutto infermieristico stanno diventando molto pesanti anche a causa di una riforma di vent’anni fa : la riduzione dell’orario lavorativo da 40 a 35 ore settimanali, che è stata per certi aspetti un boomerang. Le 35 ore dovevano favorire le assunzioni (« Lavorare meno, lavorare tutti ! »), ma nella santità pubblica questo (per ragioni di bilancio) si è rivelato impossibile. Il risultato è che il personale ospedaliero lavora come prima senza aver ottenuto adeguati aumenti salariali, perché il passaggio alle 35 ore è coinciso con un forzato raffreddamento dei negoziati sulla busta paga. Il problema è grave. Edouard Philippe lo sa ; e mercoledì ha lanciato il suo « piano d’emergenza per gli ospedali » : gli stanziamenti pubblici per il settore aumentano di 1,5 miliardi di euro su 3 anni e lo Stato si farà carico direttamente (sempre in 3 anni a partire dal 2020) di 10 miliardi di euro di debiti degli ospedali. Ma può essere poco per curare la malattia.
Uno spettro s’aggira per la Francia. Si chiama « convergenza delle lotte ». Oggi i francesi sono come i veneziani che ascoltano la sirena d’allarme. Tutti sapevano esattamente la data in cui il paese sarebbe stato sommerso dall’acqua alta del malcontento : il 5 dicembre, giorno appunto dello sciopero generale.
Proclamata contro la riforma pensionistica, la protesta si è estesa ad altri settori. Dal traffico aereo alla sanità, dall’istruzione ai trasporti urbani lo scenario della paralisi anche nei prossimi giorni è plausibile. In Francia i sindacati sono molto forti nel settore pubblico e molto deboli in quello privato. Persino i poliziotti, che non ne possono più dopo un anno di manifestazioni dei gilets gialli, sono pronti a scendere in strada. L’opposizione soffia sul fuoco di scioperi e manifestazioni. Quella di sinistra è in primissimo piano, ma anche l’estrema destra di Marine Le Pen (che, come nel caso dei Gilets gialli, potrebbe essere la vera beneficiaria politica delle proteste) cerca di dare il proprio interessato contributo alla « convergenza delle lotte ». I sondaggi confermano che oggi la Francia politica ha due poli, rappresentati dalla Le Pen e dal presidente Emmanuel Macron, che in caso di nuove presidenziali sarebbero, una volta di più, i protagonisti del ballottaggio. Macron vincerebbe ancora, ma la distanza tra i due si ridurrebbe di molto rispetto alle presidenziali del maggio 2017. Macron è alla metà del suo mandato all’Eliseo. La sua popolarità ha toccato il 64 per cento nel giugno 2017 e il punto più basso, col 23 per cento, nel dicembre 2018 (all’indomani dell’esplosione della crisi dei Gilet gialli). Oggi è del 34 per cento : più di François Hollande (che a metà mandato era al 14), ma meno di Nicolas Sarkoy (che era al 38 e che ha poi perso le elezioni). Paradossalmente la vera fortuna di Macron è proprio d’avere per sfidante la Le Pen, che ha un limitato potere di aggregazione al di là del suo elettorato del primo turno.
Quante volte, in dicembre, suonerà a Parigi la sirena dell’acqua alta ? Questo nessuno può dirlo. Lo sciopero generale del 5 dicembre potrebbe continuare a tempo indeterminato nel settore dei trasporti. Già i sindacati parlano di « sciopero illimitato », evocando uan frase utilizzata nel dicembre 1995, quando la Francia fu a lungo paralizzata sempre per bloccare una riforma delle pensioni (che il governo del primo ministro Alain Juppé fu effettivamente costretto a ritirare). Da Nizza a Rennes, da Perpignano a Lilla i francesi hanno di fronte settimane di pesanti difficoltà. Soprattutto nella regione parigina si teme il peggio. La vera novità rispetto alla crisi di fine 1995 sta nel fatto che ormai molte persone possono continuare a lavorare da casa. Il computer potrebbe essere il vero alleato di Macron. (riproduzione riservata)