Intervento del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella in occasione degli ottant’anni dalla stesura del Manifesto di Ventotene.

«Ogni grande cambiamento postuma ed è preceduto da vigilie e periodi di resistenza, in preparazione di tempi migliori. Ed è quello che avvenne qui, allora, a Ventotene. Il fascismo aveva mandato qui diverse persone per costringerle a non pensare, o quanto meno impedire che seminassero pericolose idee di libertà. Questo avvenne con chi era al confino come Spinelli, Rossi, Colorni, e con coloro che erano reclusi a Santo Stefano, come il mio predecessore, Sandro Pertini, come il futuro presidente della Costituente, Terracini e Pertini in carcere. In quel carcere borbonico erano stati reclusi un secolo prima Silvio Spaventa e Luigi Settembrini.

Bisogna pensare al contesto in cui nasce il Manifesto, che era questo, rendersi conto di che cosa intendono dire a noi ancora, oltre che ai loro contemporanei. Altiero Spinelli, Ernesto Rossi e Eugenio Colorni chiesero ed esortarono tutti quanti a vigilare a difesa della democrazia contro le derive che mettono in pericolo la libertà.

Sono insegnamenti senza tempo che erano allora richieste espresse con grande fede nella libertà, la fiducia nel corso della storia, e anche il coraggio di posizioni di assoluta avanguardia. Sono queste sono lezioni senza scadenze temporali, che parlano anche a noi, con grande attualità

In questo periodo in cui siamo investiti da sfide globali, impegnative, difficili e da tante realtà di distruzione. Quella sollecitazione a difendere la libertà e la democrazia che allora veniva fatta in quelle condizioni, in quel contesto così difficile che richiedeva coraggio e determinazione vale ancora oggi pienamente. E non a caso si accompagnava e si accompagna anche adesso all’esortazione di percorrere più velocemente la strada dell’integrazione europea come presidio, anche quello, dei valori di libertà, democrazia e diritti. È questo che rende quel Manifesto, per quello che allora rappresentò e per quello che oggi rappresenta, ancora un punto di riferimento»

 

«L’Unione europea dopo il Covid è molto cambiata. Abbiamo incrociato una crisi drammatica, che stiamo tuttora attraversando, anche se stiamo riuscendo a superarla, a sconfiggerla, speriamo presto. Una crisi drammatica che ha condotto ad alcune decisioni, a fare alcune scelte, dando ancora una volta ragione all’affermazione di Jean Monnet che diceva che l’Europa si farà nelle crisi mediante le soluzioni che alle varie crisi saranno date Che cosa è avvenuto con il Covid? Che l’Unione ha avuto una capacità di visione e di intervento di straordinaria efficacia e anche velocità. Gli strumenti predisposti dalla Commissione europea, cui va dato atto di questa tempestività, lucidità e coraggio –gli va dato atto con riconoscenza – hanno prodotto una serie di conseguenze che ha consentito agli europei di fronteggiare le conseguenze non soltanto sanitarie, ma anche economiche e sociali della pandemia. Gli strumenti adottati sono di grande rilievo.

Tra questi il Next Generation rappresenta una svolta di concezione. Non sono strumenti “una tantum”, reversibili, che saranno dimenticati e posti nell’archivio. Sono ormai entrati nell’acquis comunitario. Questa svolta, con questo coraggio e decisioni, questa maggiore capacità di azione comune, questa integrazione maggiore e concreta è un grande risultato dovuto al modo in cui si è affrontata questa crisi. E questi strumenti resteranno, ne sono convinto.

Nei vari Paesi europei vi sono tanti – come definirli – tanti gelidi antipatizzanti dell’integrazione dell’Unione. Si diano pace: questi strumenti resteranno, non si può tornare indietro!»

 

«Credo che vi siano due elementi che caratterizzano l’Unione europea in maniera più evidente e particolare: lo Stato di Diritto e la promozione della coesione sociale, per quel modello sociale europeo che così è stato definito.

Questi due valori mi fanno rispondere alla sua domanda con un’altra domanda.

Questi valori, la libertà, i diritti, la pace, il rispetto e la comprensione reciproca tra i popoli, tra le culture, la collaborazione internazionale, la coesione sociale, sono valori confinabili in un solo territorio o non sono piuttosto valori che appartengono all’intera umanità?

Ecco, nella risposta a questa domanda c’è il ruolo dell’Europa nel mondo contemporaneo.

Abbiamo visto in questi giorni con le vicende dell’Afghanistan quanto la percezione di mancanza di libertà o di perdita della libertà in un luogo lontano, diverso, del mondo, non soltanto colpisce le nostre coscienze, ma incide concretamente, non teoricamente, in astratto, nella vita della comunità internazionale che è sempre più integrata al proprio interno.

E quindi quel complesso di valori su cui è nata e su cui si è sviluppata l’Unione europea sono il suo contributo alla vita internazionale. Quello che, senza alcuna presunzione di superiorità, al contrario, con la percezione della responsabilità che si ha, va messa al servizio della collaborazione mondiale».

 

«In Europa si fa tanto parlare di confini esterni dell’Unione. Si è anche dato vita a un’agenzia per gestirne i risvolti: il Frontex. Ma la politica migratoria non è mai diventata una materia realmente comunitaria. Ed è singolare, davvero curiosamente singolare.

Siamo riusciti per il Covid, come ricordavo, dando vita ad accordi e regole condivise di resilienza, dall’acquisizione alla distribuzione centralizzata europea dei vaccini. E anche di questo va dato atto con riconoscenza alla Commissione europea per questa decisione che ha fatto collaborare, e non competere, i Paesi dell’Unione in materia. Ma è singolare che si è riusciti per il Covid – cosa indispensabile e provvidenziale – che non è materia comunitaria come argomenti, e non si sia fatto ancora realmente tanto così per la migrazione.

Questa carenza, questa omissione, questa lacuna, non è all’altezza delle aspirazioni, del ruolo, della responsabilità dell’Unione europea.

Qui siamo a Ventotene dove tanti sono venuti in confino o reclusi per difendere la libertà e poter dire quello che pensavano e, quindi, vorrei parlare con una certa libertà di espressione.

So bene che su questo piano molti Paesi sono frenati da preoccupazioni elettorali contingenti ma così si finisce per affidare la gestione del fenomeno migratorio agli scafisti e ai trafficanti di esseri umani.

È come se si abdicasse, si rinunziasse alla responsabilità di spiegare alle proprie pubbliche opinioni che non è ignorando quel fenomeno che lo si rimuove, lo si cancella, perché quel fenomeno c’è in tutto il mondo ed è epocale, di dimensioni sempre maggiori.

Non è ignorandolo che lo si può contrastare o cancellare; va governato. Ma per governarlo occorre avere senso di responsabilità, sapere spiegare alle proprie pubbliche opinioni che cosa va fatto.

Sapere, per esempio, spiegare che non tra un secolo ma tra 20/ 25/30 anni la differenza demografica tra Africa e Europa sarà tale da dar vita, se non si governa oggi con regole condivise, ad un fenomeno migratorio disordinato, scomposto che invaderà tutta l’Europa, non i Paesi rivieraschi e mediterranei, ma fino in Scandinavia.

Questo attiene – vorrei dire – alle convenienze; all’Europa conviene occuparsene per governare questo problema e non trovarselo tra qualche anno ingovernabile definitivamente. Governarlo con regole di accessi ordinati, legali, controllati.

Ma c’è anche un aspetto etico. Io devo confidare di essere sorpreso dalla posizione di alcuni movimenti politici e di alcuni esponenti nei vari Paesi d’Europa, dell’Unione rigorosi nel chiedere il rispetto dei diritti umani a Paesi lontani, ma distratti di fronte alle condizioni e alle sofferenze dei migranti. E non di qualunque tipo di migranti, ma migranti per persecuzioni, per fame, perché i mutamenti climatici hanno sconvolto il loro territorio.

In questi giorni c’è una cosa che sinceramente appare sconcertante: si registra, qua e là nell’Unione Europea, grande solidarietà nei confronti degli afghani che perdono libertà e diritti ma che rimangano lì, non vengano qui perché se venissero non gli accoglieremmo. Questo non è all’altezza del ruolo storico, dei valori dell’Europa verso l’Unione.

In questa materia l’Unione deve avere finalmente una voce unica, deve sviluppare, in maniera maggiore di quanto non sia avvenuto fin qui, un dialogo collaborativo con altre parti del mondo, particolarmente con l’Africa per governare insieme questo fenomeno.

Soltanto una politica di gestione del fenomeno migratorio dell’Unione può essere in grado di governarlo in maniera ordinata, accettabile, legale senza far finta di vedere quel che avviene per ora, così da non essere in poco tempo travolti da un fenomeno ingovernabile, incontrollabile.

Questo è quello che va chiesto all’Unione, va chiesto con forza. Io spero che emerga anche questo dalla consultazione con i cittadini che c’è in corso con la Conferenza sul Futuro dell’Europa».

 

«Sono fermamente convinto dell’importanza del rapporto transatlantico, dell’Alleanza Atlantica, della Nato, pilastro fondamentale per l’Italia e per l’Europa. Ma proprio quel rapporto transatlantico chiede oggi che l’Unione europea abbia una maggiore capacità di presenza di politica estera e di difesa. Perché lo squilibrio tra la capacità d’Europa sugli altri campi e questo è troppo alto.

Vorrei aggiungere una considerazione collaterale. Questa prospettiva è importante anche per gli Stati Uniti, cui siamo legati – la gran parte dei Paesi dell’Unione – dal rapporto transatlantico di alleanza e di collaborazione operativa. Perché in un mondo che è sempre più organizzato dal protagonismo di grandi soggetti internazionali quello che è più vicino agli Stati Uniti per storia, cultura, rapporti umani, per il comune valore della libertà e democrazia abbia una maggiore capacità operativa è interesse anche degli Stati Uniti, ma è interesse dell’Unione europea naturalmente.»

 

«Io credo che l’Unione Europea abbia sempre mantenuto, coltivi e debba continuare a coltivare il ruolo di chi esorta all’apertura, alla collaborazione, a strumenti di cooperazione economica.

Il libero commercio è una condizione indispensabile non soltanto perché è un interesse economico e commerciale per tutti ma anche perché evita pericoli di contrapposizione che possano avere poi conseguenze, ricadute molto più allarmanti, preoccupanti e gravi di altro genere. Il fatto che l’Unione abbia realizzato una serie di accordi commerciali con grandi aree, il CETA con il Canada, con il MERCOSUD recente, è una risposta alle tentazioni di protezionismo e di ritorno ai mercati chiusi; con i mercati aperti è una condizione di collaborazione internazionale indispensabile, sotto ogni profilo. Naturalmente occorre equità nelle relazioni, occorre anche che vengano garantiti gli standard sociali nei vari mercati, che venga garantita la lealtà delle condizioni reciproche. Però quella della libertà di mercato, della libertà di commerci è assolutamente indispensabile.

L’Unione Europea, che si è sempre mossa in questa direzione, in maniera indiscutibile, è un soggetto primario grazie all’euro che ne fa un protagonista decisivo nella vita economico-finanziaria e commerciale nel mondo. Per questo può continuare a svolgere questo ruolo di chi esorta, in nome del multilateralismo, a trovare insieme regole condivise, sistemi di regole condivise che consentono di allargare sempre più e non chiudere la libertà di commercio.»

 

«L’ultimo rapporto dell’Onu è drammaticamente allarmante. E quindi ci sono due obiettivi: nel 2030 con la riduzione del 55% delle emissioni e nel 2050 per la neutralità climatica. Non vanno disattesi.

Un percorso è stato già compiuto ma è ancora insufficiente. Occorre fare di più, molto di più, anche perché dagli esiti della Conferenza di Rio del 1992 si è perso molto tempo. E se ne è perso anche nell’attuazione degli Accordi di Parigi, più recenti. Questo è un impegno fondamentale.

È l’unico ambiente di cui disponiamo quello della Terra, e vediamo anche in Europa gli effetti nella vita quotidiana molto sovente dei mutamenti climatici. So bene che le difficoltà sono tante, i problemi sono molti perché occorre riconvertire, occorre adeguare. Però la scelta è tra poter sopravvivere, cambiando alcune cose, alcune condizioni o non sopravvivere affatto. E non c’è scelta».