L’accademia, spesso considerata un faro di progresso e conoscenza, è purtroppo un terreno fertile per la diseguaglianza di genere. In questo articolo, esamineremo approfonditamente i dati forniti dall’Unione Europea e da studi recenti per gettare luce sullo stato attuale della parità di genere nell’ambito universitario. Dall’accesso alle posizioni di leadership all’analisi delle differenze culturali, esploriamo insieme le radici e gli effetti di questo fenomeno riflettendo su come essa possa essere affrontata e superata.
Nel contesto accademico europeo, il “soffitto di cristallo” si manifesta in due aspetti cruciali: l’accesso al ruolo di professore a tempo indeterminato e la partecipazione alle posizioni di dirigenza. Lo strumento chiave per comprendere questa dinamica è proprio l’Indice del Soffitto di Cristallo, Glass Ceiling Index (GCI).
Tra i vari contributi sul tema, Cristina Solera e Rosy Musumeci forniscono un’analisi illuminante basata sui cluster delle asimmetrie di genere nella ricerca accademica europea. Contrariamente alle aspettative, la disuguaglianza di genere si rivela più marcata nell’ambito accademico rispetto al mondo del lavoro, anche nei paesi con una maggiore uguaglianza generale.
Esaminando fattori specifici, emerge una varietà di situazioni. Paesi come Romania e Bulgaria, inseriti nel cluster 2 della ricerca insieme alle nazioni scandinave mostrano maggiore parità di genere mentre L’Italia, nel cluster 1, si distingue per asimmetrie più accentuate, soprattutto nella distribuzione delle donne tra il precariato e le posizioni dirigenziali.
L’Italia e la Svezia a confronto: oltre le politiche di conciliazione
Un confronto tra Italia (cluster 1) e Svezia (cluster 2) rivela sfumature interessanti. Nonostante l’Italia abbia politiche di conciliazione vita-lavoro meno sviluppate e spese sociali più basse per la ricerca e lo sviluppo, la disparità di genere non è estremamente negativa rispetto alla Svezia. Il prestigio associato alla carriera universitaria potrebbe influenzare l’equità di genere, sottolineando l’importanza di una prospettiva culturale.
L’approccio proposto è quello di monitorare la disuguaglianza di genere sia in termini quantitativi che qualitativi, utilizzando un’analisi multifattoriale. Questo significa considerare contemporaneamente un’analisi strutturale del contesto e un’analisi della percezione dei partecipanti e della loro storia.
L’analisi delle due autrici sottolinea la complessità della disuguaglianza di genere, che richiede una prospettiva multidimensionale. Non solo fattori strutturali, ma anche quelli culturali e contestuali giocano un ruolo significativo. L’uguaglianza di genere nell’ambito accademico non dipende solo dai regimi di welfare; anche Paesi con un elevato tasso di occupazione femminile possono mostrare un’alta disuguaglianza di genere nella carriera universitaria.
La carriera universitaria in Italia, una realtà scomoda
Concentrandoci sull’Italia, esploriamo la segregazione verticale e il persistente divario di genere nella carriera accademica. I dati pre-pandemici sono allarmanti mostrando infatti che solo il 25,43% delle donne ricopre ruoli a tempo indeterminato. Il Glass Ceiling Index per l’Italia oggi, seppur leggermente diminuito, evidenzia ancora una significativa disuguaglianza rispetto alla media europea. Vi è una scarsa presenza femminile nei ruoli di leadership, evidenziando la mancanza di rappresentanza nelle posizioni decisionali.
L’accesso delle donne alle posizioni di prestigio nell’ambito accademico italiano è ancora un’ardua sfida. La responsabilità del lavoro di cura, soprattutto nella fascia di età cruciale 32-42 anni, agisce come principale freno, rallentando la progressione di carriera, a meno che non si goda di condizioni economiche favorevoli o di una solida rete familiare.
Le donne con ruoli di docente ordinario in Italia sono significativamente inferiori alla media europea (20%). La situazione nello spettro transnazionale infatti varia notevolmente, con alcune nazioni che vantano percentuali ragguardevoli (44%) mentre altre restano sotto il 5% nei ruoli dirigenziali.
Il sistema universitario italiano, pur meno influenzato dal “baronaggio”, si basa su una meritocrazia fortemente segnata dal genere. La mancanza di una “quota rosa” nelle commissioni di concorso è una grave lacuna strutturale in Italia. L’assenza di diversità nelle commissioni favorisce candidati dello stesso sesso, enfatizzando un ciclo di disuguaglianza. Inoltre, l’assenza di donne nelle posizioni di leadership perpetua l’idea errata che la leadership sia prerogativa esclusiva del genere maschile. Un cambiamento radicale è essenziale per garantire un futuro più equo e inclusivo per le donne nell’ambito accademico.
Fonti
- Barone C., (2010) La segregazione di genere all’università: il caso italiano in una prospettiva comparativa e diacronica, Stato e mercato , agosto 2010, No. 89 (2) (agosto 2010), pp. 287-320;
- Butler J. (1990), Gender trouble: Feminism and the subversion of identity, New York, Routledge;
- Carbin M., Edenheim S., (2013), The intersectional turn in feminist theory: A dream of a common language?, European Journal of Women’s Studies 20(3) 233–248, DOI: 10.1177/1350506813484723;
- Commissione Europea (2000), ETAN Report on Women and Science: Science Policies in the European Union: Promoting Excellence through Mainstreaming Gender Equality;
- Commissione Europea (2019), She figures 2018, 2015, 2012, 2009, 2006, 2003 – Statistics and Indicators on Gender Equality in Science, http://ec.europa.eu/research/ science-society/ index.cfm?fuseaction=public.topic&id=1406;
- Istat, (2020), Sabbadini L. L., Misure a sostegno della partecipazione delle donne al mercato del lavoro e per la conciliazione delle esigenze di vita e di lavoro AA.C. 522, 615, 1320, 1345, 1675, 1732, 1925, XI Commissione Lavoro pubblico e privato Camera dei deputati Roma;
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- Murgia A. Poggio B. (2019), Saperi di Genere, Università degli studi di Trento;
- Solera C., Musumeci R., (2019) Saperi di Genere, ASIMMETRIE DI GENERE IN ACCADEMIA: QUALI CLUSTERS IN EUROPA? di Cristina e Rosy Musumeci, a cura di Murgia A. Poggio B., Università degli studi di Trento, pp 300-318.