di Guido Scorza, componente del Collegio del Garante per la protezione dei dati personali

 

Nei giorni del debutto del nuovo Parlamento europeo c’è da auspicare una maggiore integrazione tra le dinamiche della democrazia rappresentativa e l’universo dei social media. Le nuove tecnologie potrebbero rinsaldare il rapporto fra eletti ed elettori.

 

Metà degli aventi diritto non ha votato alle ultime elezioni del Parlamento europeo. Significa poco meno di centottanta milioni di persone. In Italia, a votare per il rinnovo del Parlamento europeo, è stato, appena, il 48,31% degli aventi diritto, la percentuale più bassa di sempre, lontana anni luce da quella andata alle urne la prima volta, nel 1979, pari a oltre l’85%. Un dato, per la verità, in controtendenza rispetto a quello europeo cresciuto, anche se in maniera contenuta, rispetto alle ultime elezioni e a quelle ancora precedenti. 

E, tuttavia, lasciando a altri più esperti l’analisi più approfondita di questi dati è difficile negare che si tratti di numeri che suggeriscono che il modello della democrazia parlamentare rappresentativa funzioni, anche in Europa, meno bene di quanto sarebbe lecito attendersi, specie in un’epoca nella quale, anche complici le dimensioni ormai raggiunte dall’infosfera grazie alle tecnologie digitali e ai social media, la platea dei soggetti raggiunti da informazioni e comunicazioni almeno astrattamente capaci di stimolarli al voto è più ampia di sempre. 

A essere connessa a Internet, infatti, secondo i dati Eurostat è ormai oltre l’85% della popolazione europea mentre a usare i social network regolarmente è circa il 60%. Sono dati che suggeriscono alcune riflessioni sul rapporto tra i social media e la democrazia rappresentativa in Europa. Ce n’è una prima, più diffusa e ricorrente che suggerisce che il boom dei social media sia, in qualche modo, responsabile di una sorta di crisi della democrazia rappresentativa. Secondo questa tesi, internet e i social network, negli ultimi vent’anni, avrebbero persuaso le persone dell’inutilità e, forse, inopportunità di meccanismi di governance basati sulla rappresentanza in considerazione della circostanza che, oggi, chiunque può esprimere la propria posizione, in tempo reale, su qualsiasi questione senza bisogno di delegare un terzo a farlo per lui, peraltro, in maniera libera e non vincolata. Tanto avrebbe determinato una disaffezione di molti verso le istituzioni della democrazia rappresentativa e ciò spiegherebbe la scarsa partecipazione ai processi elettorali. È andata davvero così? 

Se si guarda ai dati della partecipazione degli italiani alle elezioni europee, ad esempio, si osserva che il calo della partecipazione è iniziato molti anni prima dell’esplosione della bolla dei social media. Anche se, in effetti, le percentuali più basse sono state toccate nell’ultimo decennio, più o meno in coincidenza con la diffusione massiccia dell’uso dei social network nel nostro Paese. Difficile, invece, identificare una qualche correlazione scientifica tra la crescita del numero di utenti internet in Europa e la disaffezione alle elezioni europee, considerato che, come si è detto, anche se timidamente e senza raggiungere percentuali confortanti, nell’ultimo ventennio – ovvero l’età dei social media – la partecipazione degli europei alle elezioni del Parlamento è sempre cresciuta. Tra chi, comunque, ritiene che Internet, l’innovazione digitale e i social network abbiano assestato un duro colpo alla fiducia delle persone nelle istituzioni della democrazia rappresentativa, c’è chi crede che i tempi sarebbero anche maturi per immaginare un avvicendamento nei modelli di governance dell’Unione, nel segno della disintermediazione: dalla centralità della rappresentanza parlamentare a quella di nuovi istituti di democrazia diretta a mezzo internet e social network che potrebbero andare a affiancarsi agli istituti di rappresentanza diretta già presenti nell’Ordinamento europeo. 

Guai, naturalmente, a negare cittadinanza nel dibattito anche a questa tesi che, tuttavia, sembra per un verso sopravvalutare le reali possibilità di trasformare la chiassosa agorà social addirittura in componente centrale di nuove futuribili forme di governance e, per altro verso, sembra sottovalutare alcune vistose e rilevanti imperfezioni nei processi di manifestazione e formazione della volontà popolare a mezzo social network. Prima che in troppi si innamorano di questo scenario vale, quindi, la pena suggerire un supplemento di riflessione al riguardo. 

Vale, ad esempio, probabilmente, la pena considerare che nell’attuale ecosistema dei social network, l’Europa è, purtroppo, sostanzialmente ospite caro-pagante giacché la pressoché totalità dei servizi e delle piattaforme che compongono tale ecosistema sono gestiti da società commerciali di diritto extra-europeo, nella più parte dei casi stabilite negli Stati Uniti d’America e in Cina. Difficile, in questa prospettiva, anche solo immaginare che un novello Parlamento europeo digitale possa aver sede tra le mura immateriali di una manciata di oligopolisti extra-europei, per un verso privati e, per altro verso, legati a doppio filo a grandi potenze politico-economiche straniere. 

La democrazia europea finirebbe, infatti, con l’essere ospite di potentati politici ed economici che non rispondono all’ordinamento europeo. Si tratta, peraltro, di una conclusione che non richiede neppure un grande sforzo di immaginazione giacché, già oggi, buona parte dell’opinione pubblica europea che, inesorabilmente, concorre poi a determinare l’azione delle istituzioni democratiche si forma, esattamente, in questa precaria dimensione secondo regole largamente dettate da società private di diritto statunitense e cinese. Quest’ultima osservazione suggerisce un ulteriore supplemento di riflessione. 

Senza, infatti, voler negare le imperfezioni dell’attuale democrazia parlamentare europea, non si può tacere che il dibattito nell’agorà social – che taluno vorrebbe trasformare in una sorta di assemblea deliberante in seduta permanente – è orientato, se non addirittura plasmato, da algoritmi che preferiscono amplificare le polarizzazioni anziché promuovere sintesi e bilanciamenti indispensabili per il buon governo della cosa pubblica. C’è, in altre parole, da chiedersi se – a prescindere da ogni altra considerazione di carattere costituzionale – si possa davvero ritenere che la discussione nell’attuale ecosistema digitale sarebbe in grado di produrre risultati in termini di incremento e massimizzazione del benessere collettivo migliori di quelli – inevitabilmente perfettibili – attualmente prodotti dalla democrazia rappresentativa parlamentare. 

Ma lasciandosi alle spalle l’idea di un antagonismo tra social media e istituzioni della democrazia rappresentativa europea e, ancor di più – per le ragioni che si sono appena provate a riassumere e per molte altre sulle quali non c’è qui tempo e modo di soffermarsi – quella di una futuribile e futuristica sostituzione dei primi alle seconde, c’è, invece, forse, da suggerire, specie nei giorni del debutto del nuovo Parlamento, una maggiore e più intensa integrazione, nel segno della complementarietà, tra le dinamiche di funzionamento del Parlamento europeo e l’universo dei social media. 

Le nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione, infatti, potrebbero, probabilmente, divenire strumenti preziosi di amplificazione della partecipazione popolare all’attività parlamentare, rinsaldando il rapporto tra eletti e elettori – in una dimensione meno individualistica e estemporanea di quella che oggi, salvo eccezioni, va normalmente in scena e più sistemica – e garantendo ai primi straordinarie opportunità di analisi data driven, della posizione dei propri elettori al solo fine di rendere più consapevole l’esercizio del mandato pur senza alterarne il carattere libero e non vincolato.

C’è, insomma, forse spazio per costruire una relazione diversa tra social media – e tecnologie dell’informazione e della comunicazione in generale – e istituzioni della democrazia rappresentativa e per archiviare un antagonismo che non sembra destinato a produrre effetti benefici per il buon governo dell’agognata nuova Europa delle persone.