Lo spettro che si aggira per l’Europa è ben più di un fantasma. Di certo non è agitato da tanti piccoli Mussolini come vorrebbe far credere il commissario Pierre Moscovici, ma nemmeno una terra su cui risplende d’incanto il sole. I due voti nel D-Day della libertà al Parlamento Europeo, come in molti l’hanno definito, che attivano le procedure sanzionatorie nei confronti dell’Ungheria e danno il via libera alla direttiva per il copyright digitale, sono perciò una nuova frontiera su cui tutti si dovranno confrontare, una sorta di sbarco in Normandia: l’inizio di una battaglia che si concluderà solo quando verrà riconquistato dagli europeisti l’immenso terreno perduto ovvero prevarrà una sorta di secessione tra i 27 paesi in mancanza di vere riforme dell’assetto comunitario. A rendere il quadro ancora più complicato si aggiunge il fatto che non si potrà più contare sul bazooka del Quantitative Easing della Bce, come specificato a chiare lettere da Mario Draghi, il che significa, non solo per l’Italia si badi bene, non poter più contare sul generale Eisenhower dell’armata monetaria europea e non essere ancora pronti per un programma riformista come delineato nel piano di redenzione del debito messo a punto dal ministro Paolo Savona.
In tanta incertezza mancano peraltro parecchi tasselli. Sull’attivazione dell’articolo 7 nei confronti del paese guidato da Viktor Orban, servirà un voto a maggioranza qualificata dei capi di stato e di governo che potrebbe quindi rovesciare il verdetto di Strasburgo, perché il Partito Popolare Europeo è fortemente diviso tra ala ‘contuinista’ e ala ‘populista’ e dovrà il prossimo novembre incoronare il tedesco Manfred Weber a guidare la futura Commissione anche col voto cruciale del gruppo di Visegrad, che il premier magiaro guida con mano ferma e carismatica. Ancora molte posizioni da conquistare ci sono invece sul diritto d’autore on line, che solo una lettura miope può relegare ad un semplice problema editoriale, in quanto attiene non solo alla libertà di informazione ma alla stessa qualità di formazione del pensiero. I paesi dovranno recepire la direttiva nella normativa nazionale e il cammino non sarà facile, perché ormai tutti si abbeverano gratuitamente alla rete e dunque occorrerà vedere come si comporteranno nei fatti anche gli altri esecutivi che ormai dalla rete sono in qualche modo dipendenti. Di fatto si scontrano due modi di pensare la vita, quasi due ere geologiche a confronto. Anche per questo, già ci si interroga se con la decisione e la prossima direttiva, che deve ancora prendere forma ed essere approvata dal Consiglio Europeo, si potrà cominciare ad esigere di fronte a un giudice il pagamento dello sfruttamento di una notizia.
Ma questi voti parlamentari che tanto entusiasmo hanno suscitato devono suonare soprattutto come una chiamata per le forze europeiste, disperse da tempo in mille rivoli a Bruxelles e in affanno, se non in via di sparizione, in molti stati europei. A fronte del sovranismo diffuso, i neo nazionalismi e la rabbia che si diffonde un po’ ovunque in rete e nelle piazze, in molti si interrogano se non sia il caso di intervenire con una massiccia campagna di informazione che abbia come principale obiettivo quello di formare un Movimento Democratico Europeo, che si opponga al Fronte Sovranista, capace di ricollegare tutte le forze disperse dell’associazionismo, del socialismo democraticocristiano, senza dimenticare l’En Marche di Emmanuel Macron, in cerca di alleati per creare un terzo gruppo nell’assise comunitaria. E il motivo è semplice.
Il voto di fine maggio del 2019 sarà il più partecipato della storia dell’Unione Europea,perché per la prima volta gli elettori sono consapevoli che si discuterà della loro vita, del loro futuro, visto che ormai la gran parte delle leggi e del quadro normativo nazionale discende da ciò che si decide proprio a Bruxelles, Strasburgo e Francoforte. Si tratterà di un confronto serrato tra chi crede che il destino dell’Ue sia una struttura federata e chi pensa invece che si dovrà approdare in una confederazione con poteri molto decentrati, accordi bilaterali e un mercato unico. Alla fine di questo percorso servirà però una conferenza, una nuova Yalta, per trovare un accordo sul come andare avanti e Angela Merkel, Giuseppe Conte, lo stesso Emmanuel Macron, e tutti gli altri leader dovranno vestire i panni un tempo di Churchill, Adenauer, Monnet, De Gasperi. Non sarà facile. Perché la battaglia non si esaurisce in Italia, come alcuni commentatori e burocrati comunitari vogliono lasciare intendere, facendo risuonare di nuovo il tintinnio dello spread, ma coinvolge i gangli di tutta l’Europa unita, che non è una fortezza, come sostenuto da Jean Claude Juncker nel suo ultimo discorso, e nemmeno un fortino assediato da un sol uomo quale Matteo Salvini, come effigiato dal Time. Assomiglia piuttosto ad una torre di Babele pronta a crollare sotto i colpi dei suoi stessi costruttori. Tanta diversità in così piccolo spazio deve tornare ad essere la forza e non il motivo di divisione. E l’Italia non è certo il problema, semmai la soluzione. Che va individuata. Magari con una grande conferenza per le riforme: una Yalta europea.