Come stanno le cose in Italia l’ha detto senza mezzi termini Papa Francesco. Le porte girevoli del lavoro sono bloccate perché si va troppo tardi in pensione. Ma non ci voleva la chiesa cattolica per capire che questa è l’unica vera urgenza per un paese che invecchia sempre di più ed è sottoposto alla spinta dei flussi migratori. Da qui nasce un ventaglio di proposte della Nuova Europa per cambiare totalmente paradigma alla vere riforme di cui necessita il paese e per avviare un dibattito tra le forze riformiste del paese, a partire da quelle giovanili ed europee.
PENSIONI PER POCHI, LAVORO PER POCHISSIMI
La Repubblica italiana da anni ormai è fondata più sulla pensione che sul lavoro. Sono risultati inutili tutti i meccanismi di incentivazione alle assunzioni in presenza di un sistema previdenziale che di fatto allunga sempre di più la vita lavorativa delle persone ed un regime fiscale che deprime innovazione, ricambio generazionale e ricerca. Ora l’Istat stima che si dovrà lavorare fino a 70 anni. Quando verrà il momento dei giovani? Mai. A meno che non si prenda il toro per le corna. In tre mosse. Sistema contributivo per tutti, invece del sistema retributivo, che costringe lo Stato ogni anno a tassare i lavoratori per pagare le pensioni (anche alte) di coloro che ricevono l’assegno sulla base degli stipendi incassati, piuttosto che dei contributi versati (cosa che si chiede a tutti dal 1995 in poi e soprattutto ai giovani); riduzione dell’età pensionabile a 65 anni, tassativi per tutti, in primo luogo per giudici e professori universitari; divieto, sancito per legge, di lavorare, anche a titolo gratuito, nel pubblico come nel privato, dopo aver ricevuto l’assegno di quiescenza.
Queste misure avranno un doppio effetto. Incoraggiare le imprese a puntare sulle nuove leve e far rientrare i cervelli in fuga, che hanno una sola paura, quella di fare i precari e i portaborse a vita di una persona che non va andrà mai in pensione.
INNOCENTI EVASIONI
Inutile favoleggiare di riduzioni fiscali, di flat tax, o di bonus bebè, famiglie e studenti. Finché verrà assecondata la rimozione collettiva di un problema che va affrontato con la stessa determinazione con cui si è combattuto il terrorismo e la mafia nulla cambierà. L’evasione fiscale, calcolata sommariamente intorno ai 100 miliardi di euro, è il vero cancro della società italiana, perché nei fatti impedisce allo stato di utilizzare questi soldi per ridurre il debito pubblico, visto che ogni anno deve trovare tra i 60 e gli 80 miliardi di euro solo per pagare gli interessi ai propri creditori. Chi evade non solo non fornisce il suo contributo di cittadinanza ma usa indebitamente tutte i servizi pubblici, comportandone di conseguenza l’aumento dei costi.
Nel 2014 il tax gap, ovvero la differenza tra le imposte che si dovrebbero pagare e quelle effettivamente incassate dall’Erario, si è allargato a 111,6 miliardi di euro da 108 miliardi del 2012. Dalle badanti alla bottega sotto casa, dalle costruzioni ai servizi per le imprese: questo divario fiscale oscilla tra il 20 e il 30%. Ed è particolarmente marcato proprio nei servizi alle famiglie, dove il sommerso è al 30%, per scendere poi al 26% nel commercio e nei pubblici esercizi, al 24% nelle costruzioni e al 20% nei servizi alle imprese. Nel solo 2014 il buco di imposte pagate – rispetto al dovuto – si impenna quando in ballo ci sono i redditi del lavoro autonomo e d’impresa: per questa tipologia di Irpef il tax gap si attesta al 59%, mentre per il lavoro dipendente è al 4% e per l’Iva al 30%. Serve quindi una legge chiara per punire gli evasori e premiare aziende e contribuenti onesti con una riduzione imposte. Tra l’altro esisterebbe anche un Fondo Tagliatasse da alimentare con il recupero del maltolto. Questa è l’ingiustizia sociale più evidente in Italia, che la rende diversa da tanti partners europei e fa crescere appunto la spesa pubblica per tutti i servizi e lievitare il debito pubblico, che lo stato ogni anno deve contrarre.
È la più grande ingiustizia sociale che ormai pervade una comunità intera. Dalla dichiarazione di situazione economica, alle mense scolastiche alle rette universitarie per finire all’economia sommersa, l’evasione è uno Stato nello Stato. Servono quindi leggi speciali, senza se e senza ma e senza ricorrere alla barzelletta del Fisco amico che serve solo ad indorare la pillola ai milioni di italiani – soprattutto gli imprenditori – che versano all’erario tra il 30 e il 60% del loro reddito.
Ecco il decalogo anti-evasione da attuare con provvedimenti d’urgenza e legge delega. 1) Inserimento in Costituzione del reato sovversivo di evasione fiscale. 2) Eliminazione del contante in tutte le operazioni sopra i 490 euro, tracciabilità per tutte le operazioni di entità superiore. 3) Istituzione di un numero verde per denunciare casi di evasione, lavoro sommerso e abusivismo commerciale ed edilizio.
4) Istituzione di un corpo speciale di carabinieri, finanzieri e doganieri alle dirette dipendenze della Presidenza della Repubblica. 5) Inserimento in Costituzione dell’obbligatorietà di utilizzare i proventi della lotta all’evasione per ridurre la pressione fiscale. 6) Istituzione di una norma che preveda lo sconto del 30 % sulle tasse da pagare se si segnalano almeno 5 casi di evasione fiscale accertati fino all’ultimo grado di giudizio per un imponibile evaso cumulativamente pari a 100.000 euro. 7) Istituzione di un programma speciale di pentitismo che preveda, per chi decide di autodenunciare l’evasione di massa lo sconto del 50% sulle tasse e le sanzioni da pagare. 8) Riduzione del 50% su tutti i contributi pagati dai lavoratori non continuativi. 9) Eliminazione di ogni scudo, condono o voluntary disclosure che allievi l’evasione fiscale. 10) Reintroduzione dei voucher con funzione anti lavoro nero e sommerso.
Sono misure drastiche come la situazione impone di adottare se solo si aprissero gli occhi. Mario Draghi in una cena riservata ebbe modo di rivelare il suo pensiero: in Italia le tasse sono altissime perché le pagano in pochissimi. Dunque l’esatto contrario di chi sostiene che le pagano in pochi pericolo e sono troppo alte. Si confonde la causa con l’effetto.