Quarto appuntamento per la Scuola d’Europa che il 28 febbraio approda nell’aula magna del liceo classico Vivona, scuola ambasciatrice d’Europa, nel cuore del quartiere Eur di Roma.
Presenti per i saluti introduttivi la preside del liceo Mamiani, coordinatrice della rete di istituti “Laboratorio di Cittadinanza” che compongono il pubblico critico di questo ciclo di incontri e Raffaella Rizzo, vicedirettrice dell’Associazione La Nuova Europa e coordinatrice della Scuola.
Con l’accoglienza del coro Vivona sulle note dell’Inno alla Gioia, studenti e studentesse delle classi quinte hanno animato il dibattito della mattinata esplorando contraddizioni e punti di contatto tra identità nazionali e identità europea, questione di grande rilievo nella fase pre-elettorale come quella in cui ci troviamo.
Sul tema dell’identità connessa non tanto ad una dimensione geografica quanto alla sfera dei diritti e a quella dei valori democratici, un momento è stato dedicato alla memoria di Alexei Navalny omaggiata anche dalle istituzioni con la visita, lo stesso giorno, di Yulia Navalnaya al Consiglio Affari Esteri dell’Ue.
Una calorosa accoglienza, dunque, per l’ospite Raffaele Torino, docente ordinario di Diritto privato comparato e di Diritto e politiche dell’Unione europea presso l’Università degli studi Roma Tre. A lui il compito di sciogliere dubbi e curiosità degli studenti che hanno riflettuto sulle false credenze connesse ad un tema così complesso come può essere il divario (almeno apparente, stando alla narrazione pubblica) tra interessi comunitari e nazionali.
Il linguaggio della politica e dei media tradizionali e digitali è infatti co-responsabile di un quadro distorto di questo binomio.
Grazie alla capacità di toccare le corde giuste in un pubblico così giovane, il professor Torino ha risposto agli interrogativi dei ragazzi in materia di Brexit, prospettive federazioniste o di allargamento e allerte sovraniste portando l’attenzione su quei principi fondanti, trasposti negli stessi atti istitutivi del progetto europeo, che invece mettono al centro la coesione fra Stati in una dinamica di scambio reciproco sotto il vessillo di un’Europa che vuole essere “unita (proprio) nella diversità”, come recita il suo motto.
Ricordiamo infatti che al tavolo si siedono in 27: rappresentanti di 24 lingue diverse e di radici culturali, prerogative e anche “gelosie” nazionali particolari. Da tale contrasto si può uscire solo ricordando che la comunanza tra Paesi è data dai principi, sanciti e onorati dall’articolo 2 del Trattato sull’Unione europea: dignità umana, libertà, democrazia, uguaglianza, Stato di diritto, rispetto dei diritti umani e delle minoranze, pluralismo, non discriminazione, tolleranza, giustizia, solidarietà. L’Unione ha da sempre come obiettivo, ad oggi ampiamente raggiunto, la pacificazione del continente.
La sfida aperta rimane quella di far convergere, nel tempo, le agende nazionali e quelle europee superando i particolarismi. Ma sul punto arriva il monito del professore: “L’Europa siamo noi”, intendendo, con queste parole, che le istanze portate avanti in Consiglio, in Consiglio europeo, in Parlamento europeo derivano dai rappresentanti eletti democraticamente negli Stati membri. Le politiche europee sono, dunque, il frutto della mediazione di capi di Stato e di governo che hanno una loro legittimità nei singoli Stati, nelle elezioni nazionali.
Consapevolezza, questa, che funge da importante antidoto contro chi vuol far credere che Bruxelles sia un’entità astratta, una torre eburnea all’interno della quale vengono prese decisioni ad opera di una burocrazia distante dalla realtà. A poco servono i proclami contro l’Europa che non è un fine verso cui tendere, ma uno strumento utile per raggiungere valori e obiettivi che possono rendere il continente da noi abitato un luogo di benessere non solo economico, ma anche morale e sociale. Decisamente un bel modo per ricordare a chi andrà a votare alle elezioni per la prima volta dell’importanza del loro voto, tanto italiano, quanto europeo.