Salva banche, va evitato il panico. Ma Renzi apra gli occhi sul nuovo sistema di tutele europeo
Ora che il vaso è rotto bisogna evitare di romperne altri, intaccando la fiducia dei risparmiatori nelle banche. Ci sarà tempo per capire le reali responsabilità dell’incredibile pasticcio creatosi attorno alla crisi di quattro istituti di credito locali, ma fin d’ora è possibile fare una ricostruzione abbastanza precisa. Si parta da questo assunto: d’ora in poi, se uno Stato ha difficoltà con il debito, sarà la sua Banca centrale a provare a salvarlo con le garanzie; se invece va in crisi una banca, ci penseranno gli stessi clienti. Ho avuto modo già in Sboom e nell’Euro è di tutti di criticare questo assetto di garanzie che pagano lo scotto dei salvataggi di interi paesi quali la Grecia, Cipro, il Portogallo e parte della Spagna, effettuati con i soldi di tutti i contribuenti europei: l’asse Berlino-Bruxelles ha deciso da tempo che ognuno i suoi cocci li pagherà da sè, portando inevitabilmente molta acqua al mulino della Le Pen, che, per la verità scorre da tempo, anzi da anni. Eppure oggi in Italia – e presto magari anche in qualche altro paese – è partita l’immancabile caccia al colpevole da parte di chi ha appena votato una legge che quelle norme sui salvataggi bancari contiene e che il governo ha anticipato in parte e solo di qualche settimana per Banca Etruria, CariChieti, CariFerrara e Cassa Marche. Il Parlamento, che ora vuole indagare sul perché lui stesso si è piegato ai diktat rigoristi tedeschi e dell’Ue, nel 2012, con la stessa cieca inconsapevolezza, approvò senza batter ciglio il terribile Fiscal Compact e come conseguenza da allora qualsiasi esecutivo a Roma per fare uno straccio di politica economica deve chiedere alla Commissione deroghe al pareggio di bilanci, inserito addirittura in Costituzione. Bastava leggere le fonti ufficiali di Bruxelles per capire cosa si doveva fare. E invece, niente. Ora ci penserà una commissione d’inchiesta parlamentare (con poteri quasi giudiziari come nel caso Sindona) o d’indagine (dai poteri più blandi) a cercare di fare luce su un pasticcio in salsa italo-comunitaria e chissà quando ne vedremo la fine. Nel frattempo, si preferisce avviare una lunga polemica con le istituzioni europee, che trovano anche il coraggio di mettere in mora il governo Renzi per non aver speditamente abbandonato il sistema di garanzia nazionale dei depositi che ci obbliga (è noto a tutti?) ad approdare in un sistema indefinito di tutela comune dei conti correnti che sarà finanziato da un fondo dalla capienza insufficiente: non è fantascienza o un film dell’orrore, ma tragica realtà. Mai tirata d’orecchie fu più importante, perché si spera che l’esecutivo Renzi ora apra bene gli occhi sul mostro giuridico che si sta mettendo in piedi sotto la voce Unione bancaria e Risoluzione delle crisi. Eppure dell’esistenza della controrivoluzione copernicana Ue tutti erano stati avvisati. E solo ora si cerca di metterci una pezza con un plafond di ristoro per 30.000 clienti, probabilmente in gran parte raggirati dal momento che pensavano di aver comprato qualcosa di molto simile ai Bot e invece avevano sottoscritto prodotti ad alto rischio come se fossero azioni. Il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, peraltro l’aveva messo nero su bianco nelle sue Considerazioni Finali. Era il 26 maggio del 2015. Si trattava di evenienze che allora sembravano remote ma che dimostravano apertamente come le regole post-crisi messe in piedi da Bruxelles e dall’Unione a guida tedesca avessero pensato più alla solidità dei bilanci che alla solidarietà e alle persone. Sul primo punto, ovvero gli effetti del Quantitative Easing della Bce, il cui impatto, appena prorogato a oltre 1.500 miliardi di euro, cercherà di risollevare lo stato delle casse pubbliche in mezz’Europa immettendo liquidità nel sistema, il governatore in poche righe ha ammesso quanto era risultato evidente già al momento del varo del QE a Francoforte. ”Sono stati lasciati in capo alle singole banche centrali nazionali i rischi connessi con i titoli di Stato da esse acquistati. Questa decisione tiene conto della preoccupazione di alcuni membri del Consiglio della Bce che il programma potesse tradursi in trasferimenti di risorse tra paesi. Una piena condivisione dei rischi sarebbe stata più consona all’assetto della politica monetaria unica e coerente con il Trattato. Ma l’efficacia della misura non è stata inficiata”. Speriamo comunque di non dover mai fare la prova del budino. Anche perché non si sa come non essere d’accordo col banchiere centrale, se è vero che in fondo, a conti fatti, solo l’8% dei rischi connessi agli acquisti di bond governativi resterà in capo all’Eurotower. Insomma, l’Europa aiuta chi è in difficoltà ma con grandissima prudenza e sfiducia nell’Unione stessa.
Ma un altro passaggio delle Considerazioni colpiva come uno schiaffo, quando si ricordava appunto uno dei principali effetti dell’unione bancaria: la nuova normativa sui salvataggi, che sposta dal primo gennaio 2016 l’onere di spesa dalla collettività ad azionisti, obbligazionisti non garantiti e depositanti sopra i 100.000 euro. ”Gli investitori devono essere consapevoli dei rischi sottostanti il nuovo sistema di gestione delle crisi – ammoniva Il numero uno di Via Nazionale – La clientela, specie quella meno in grado di selezionare i rischi, andrà adeguatamente informata del fatto che, nel caso detenga strumenti diversi da depositi e titoli garantiti, potrebbe dover contribuire alla risoluzione di una banca”. Due domande sono fin troppo scontate: Bankitalia e Consob hanno vigilato affinché questo non avvenisse? Berlino c’entra qualcosa con questo assurdo rigore anti-italiano? Al secondo quesito la risposta è si. Sul primo, indagheranno le Camere, qualche Procura, e la Commissione arbitrale istituita per stabilire quali obbligazionisti indennizzare, ma il danno d’immagine al mondo del credito italiano, pur solido e affidabile rispetto a molti altri (Germania compresa) rischia di essere altissimo. Oggi, di fronte a decine di migliaia di risparmiatori messi in ginocchio, non sembra che almeno loro questi aspetti legati alle procedure sui nuovi salvataggi li conoscessero. Come è dubbio fosse noto a 300 milioni di europei e agli altri 60 milioni di italiani, formichine risparmiatrici per antonomasia, la pericolosa esistenza del bail in. Queste persone, un’intera comunità, non avendo come prima lettura gli atti di Parlamento e Commissione, un documento Bankitalia e men che mai un giornale, probabilmente ora hanno fatto un salto sulla sedia nello scoprire dalla televisione di non potersi fidare nemmeno della propria banca. Ma il problema in questo caso va anche al di là delle pur strambe regole europee attuate in modo coatto e scomposto dall’Italia. Sembrerebbe completamente inascoltato il consiglio supremo di Einaudi: conoscere per deliberare. Senza questa bussola si finisce spesso sugli scogli. Si tratti di governi come di semplici risparmiatori.