Prendi la pensione e scappa, come il mitico film di Woody Allen. Solo che in questo caso non si tratta di un furto ma di qualcosa che non va nella catena di trasmissione welfare-fisco-costo della vita. L’amara riflessione nasce dagli ultimi dati forniti dal presidente dell’Inps Tito Boeri, che delle ingiustizie sociali ha ormai fatto un suo cavallo di battaglia. Detto che nessuno vuole creare una guerra generazionale tra chi ha avuto una pensione, seppur magra, magari con il metodo retributivo, e chi, come i 100.000 giovani che lasciano in media ogni anno l’Italia perché lavoro (e pensione) non l’avranno mai, le cifre di Boeri fanno riflettere. Se vanno via sia i ventenni che gli ultra sessantenni, chi resterà nel nostro paese? Politici, imprenditori, la generazione dei baby boomers, anziani e badanti?
Vediamo questi numeri allora. Nel 2017 con il provvedimento sulle quattordicesime ”si è ampliata in modo molto considerevole la platea tra i residenti all’estero” – ha detto Boeri – con un’impennata del 131% delle prestazioni. Il fenomeno “è in aumento sul 2017, a seguito degli interventi” fatti, con “la spesa per 14esime più che raddoppiata”.
Nel 2016 l’Inps ha pagato all’estero 373mila pensioni, in 160 paesi per un valore “poco superiore a 1 miliardo di euro”. Per Boeri si tratta di “un’anomalia” – del tutto lecita peraltro – visto che “non c’è un quadro di reciprocità”, per i sindacati è invece l’effetto della crisi perché molti assegni sarebbero di pensioni basse. Hanno forse ragione entrambi, ma il disequilibrio sociale resta e le fila di pensionati che partono per Portogallo, Argentina e Canarie si ingrossa come quelle dei laureati che vanno a Berlino, Parigi e Dublino. Per Boeri poi c’è un aspetto anche di finanza pubblica: quel miliardo pagato all’estero farebbe risparmiare agli altri paesi dove i pensionati italiani risiedono una certa quota di spesa di welfare e contribuisce sicuramente a far crescere il loro Pil e non quello nazionale.
Difficile dare torto all’economista che da tempo ha messo il dito nella piaga di chi ha una pensione calcolata con gli stipendi incassati (metodo retributivo), i contributi versati (metodo contributivo) e chi faticherà ad avere 300 euro al mese di pensione (gli attuali 35 enni).
Boeri ha infatti precisato che “più di un terzo delle pensioni pagate a giugno 2017 hanno periodi di contribuzione in Italia inferiori a 3 anni, il 70% è inferiore ai 6 anni e l’83% è ai 10 anni”, quindi durate contributive “molto basse”. In una parola, non essendo legate principalmente ai contributi, più alte del dovuto.
Il tema è enorme e non può più essere ignorato, oppure evaso ogni tanto con le solite ricerche che spiegano che i giovani (pensa un po’) abbandonano il Paese perché non hanno prospettive di carriera, figuriamoci di pensione. Qualsiasi governo ci sarà nel 2018 dovrà prendere il toro per le corna a costo di essere infilzato.