There’s an old Chinese saying: “If you bond together for profit, when the profits stop the relationship ends. If you bond together for power, when the power stops the relationship ends. Only when you bond together with a true heart can a relationship truly last.”
Per l’Europa è tornato il momento di rimettersi sui banchi di scuola, perché mentre si sta disgregando c’è chi lavora affinché l’ambizioso sogno di integrazione europea non muoia ed anzi sappia andare oltre. Ci riferiamo all’iniziativa multilaterale della Cina, la nuova via della seta, che può fornire un’ancora di salvezza, forse l’ultima. L’Europa non ha sufficienti risorse (politiche) interne per salvarsi, per molteplici ragioni. In generale è inibita dalla costante subordinazione alle scelte strategico-militari statunitensi, come si è potuto evincere dalle posizioni sulla crisi ucraina. Ha sostenuto un illegittimo rovesciamento di governo, riconoscendone un altro di estrema destra con non pochi elementi appartenenti alla sottocultura nazista. Per non parlare della pessima gestione della crisi dei debiti sovrani, in cui sono prevalse politiche di austerità rivelatesi devastanti sul piano socioeconomico. Grecia in primis.
Rivolgiamo allora lo sguardo all’incontro internazionale che si è svolto a Pechino il 14 e 15 maggio 2017: si è trattato del primo forum mondiale per discutere gli sviluppi della One Belt One Road (da qui in poi OBOR). Circa 60 delegazioni e più di mille partecipanti sono accorsi nella capitale della Repubblica popolare per confrontarsi sulle prospettive di sviluppo legate al megaprogetto di investimenti infrastrutturali promosso dalla quinta generazione di leader cinesi. Chi avesse ancora dubbi sulla natura pacifica della proiezione cinese nel mondo farebbe bene ad approfondire la natura e le potenzialità di questo progetto: aperto, concreto e a beneficio di tutti i paesi coinvolti. A Pechino sono giunti anche i massimi rappresentanti delle principali organizzazioni internazionali, come Antonio Guterres, segretario generale delle NU, Christine Lagarde, direttore del FMI, e Jim Yong Kim, presidente della BM. Sul fronte dei capi di stato e primi ministri sono invece mancate, ad eccezione del primo ministro italiano, le autorità dei principali paesi occidentali, come gli Usa, che hanno deciso di partecipare all’ultimo momento, il Regno Unito, la Francia e la Germania. Quando si parla di Cina l’Occidente è ancora troppo rigido e tende a camuffare i propri interessi geopolitici ed economic, ovvero le proprie ambizioni egemoniche, attraverso pretesti “umanitaristi”. Ma sottovalutare le potenzialità della OBOR è un errore. Questa iniziativa è la concreta materializzazione delle modalità con cui la RPC gestisce le relazioni internazionali, sulla base dei principi di rispetto reciproco e mutuo beneficio. E benché non manchino critiche sulla sostenibilità dell’operazione, sul piano finanziario, e sulle reali ragioni geopolitiche della Cina – che ambirebbe al dominio del mondo, secondo i critici di paesi tradizionalmente dominatori – è veramente difficile non capire che stiamo di fronte ad operazioni estremamente importanti. La OBOR è un’iniziativa fondamentale per la pace nel mondo, perché capace di promuove una maggiore cooperazione tra paesi e potenzialmente in grado di marginalizzare e neutralizzare le tendenze volte al dominio a tutti i costi. La Cina indica una strada auspicabile, per tutti. Inoltre, la OBOR non è una pia illusione, ma una realtà già in moto per connettere territori, collegare paesi, favorire scambi commerciali e non solo. Qui sta il cuore del progetto proposto da Xi nel 2013 e lanciato concretamente nel 2014, con la creazione di un fondo sovrano che utilizza parte delle riserve straniere della Banca centrale cinese (PBOC), oltre ad attingere ai fondi della nuova Banca multinazionale per le infrastrutture e gli investimenti (AIIB). Gioverà altresì ricordare che a Bishkek, durante il vertice SCO del novembre 2016, il premier cinese aveva sottolineato il ruolo chiave della SCO nei più ampi processi di integrazione eurasiatica, in relazione alla necessità di aumentare la sinergia tra la OBOR, su cui la Repubblica popolare ha già investito più di 50 miliardi di dollari (da autunno 2013 a luglio 2016) e l’Eurasian Economic Union (EEU), guidata dalla Russia e composta inoltre da Armenia, Bielorussia, Kazakistan e Kyrgyzstan (la EEU è nata nel 2015 a seguito di un lungo processo di aggregazione economica ideato alla fine degli anni Novanta).
L’integrazione eurasiatica attiene alla possibile prosperità di ogni singola nazione e favorisce la neutralizzazione delle spinte nazionalistiche più retrive. Non basta migliorare le condizioni di vita nel proprio paese, come ha fatto la Cina negli ultimi decenni. Per garantire pace e stabilità a lungo termine è anche necessario lavorare per un mondo multipolare, eliminare gli approcci manichei del “noi contro gli altri”, far prevalere le ragioni della cooperazione, o competizione costruttiva, e marginalizzare l’iper-competizione per il dominio. E’ ciò per cui hanno lottato molti nostri predecessori, come Pietro Nenni, che ha coerentemente e costantemente visto nella Cina un attore internazionale fondamentale per la costruzione di un mondo multipolare, più equilibrato e pacifico, e per questo ha lavorato assiduamente, con successo, perché la Repubblica popolare entrasse nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Non c’è indirizzo di politica interna che non sia condizionato dal quadro internazionale. E’ qui che va compreso il valore della OBOR. Ecco che le ferrovie ad alta velocità cinesi, tra le più efficienti al mondo, compariranno anche in molte altre regioni eurasiatiche.
Caratterizzate da ramificazioni plurime, le nuove via della seta per mare e per terra del XXI secolo sono onnicomprensive. Di seguito un abbozzo della geografia che sta prendendo forma: si tratta di “una complessa rete di infrastrutture, ferroviarie ad alta velocità, oleodotti, porti, cavi in fibra ottica, telecomunicazioni, che la Cina sta già costruendo al fine di creare una rete di interconnessioni tra sei regioni: Russia (la nazione chiave del continente eurasiatico sin dai tempi di Sir Halford Mackinder), l’Asia centrale, il Medio Oriente, il Caucaso, l’Europa orientale e infine l’Europa occidentale, diramandosi fino a Venezia, Rotterdam, Duisburg e Berlino” (Baheli 2016). Ci sono poi i corridoi che collegheranno l’Asia meridionale: Cina-Birmania-Bangladesh-India e Cina-Afghanistan-Pakistan-Iran. Alcune tratte sono state completate nel 2016.
In questi movimenti va inserita la reazione miope e pericolosa degli Usa, la loro propensione “a fare la guerra”, dall’Afghanistan al Medio Oriente e all’Africa. La Cina non può permettersi di chiudersi, né di intraprendere un confronto sul piano militare, sarebbe deleterio e per di più contro la propria cultura, maggiormente volta al cambiamento tramite l’adattamento, anziché alla sovversione forzata. Se in passato essa è stata accusata dall’Occidente di isolamento, oggi è criticata per la tendenza opposta, benché i giudizi, severamente critici, siano spesso contradditori e scarsamente argomentati. Diverse sono invece le critiche dell’India che, secondo le informazioni riportate dall’India Today, avrebbe disatteso il vertice di Pechino in polemica con il coinvolgimento del Pakistan e le implicazioni del corridoio Cina-Pakistan.
Va sottolineato infine che la crescente influenza cinese e il consenso riscosso nel mondo sono il frutto di strategie diplomatiche, commerciali e finanziarie, ma mai militari. Non una bomba è stata sganciata per raggiungere l’attuale peso mondiale. Questa è una buona notizia e il vertice di Pechino, in sostanza, rimarca orgogliosamente tale differenza.
Fonte: Opinione Pubblica.com