Il voto del 4 marzo ha mostrato un paese spaccato a metà, tra Nord ricco e produttivo e Sud più povero e in ritardo di sviluppo. Ora arrivano le analisi della Banca d’Italia sui bilanci delle famiglie italiane a confermare l’aumento delle disuguaglianze.
Rispetto all’edizione precedente, riferita all’anno 2014, il reddito equivalente medio è cresciuto del 3,5%; si è interrotta la caduta, pressoché continua, avviatasi nel 2006 ma il reddito equivalente è ancora inferiore di 11 punti percentuali a quello registrato in quell’anno.
Sono però aumentate la disuguaglianza nella distribuzione dei redditi e la quota di individui a rischio di povertà. L’indice di Gini, una misura della disuguaglianza che varia tra 0 e 1, è salito al 33,5% (33% nel 2014 e 32% nel 2006), un livello simile a quello registrato nella seconda metà degli anni novanta dello scorso secolo. Di conseguenza, secondo Bankitalia, la quota di persone a rischio di povertà, cioè con un reddito equivalente inferiore al 60% di quello mediano (una definizione analoga a quella impiegata dall’Eurostat), è salita al 23% (19,6% nel 2006).
- Il rischio di povertà è così più elevato per le famiglie con capofamiglia più giovane, meno istruito, nato all’estero, e per le famiglie residenti nel Mezzogiorno; tra il 2006 e il 2016 è diminuito solo tra le famiglie con capofamiglia pensionato o con oltre 65 anni.
Tra il 2014 e il 2016 la ricchezza netta è diminuita, quasi interamente per effetto del calo del prezzo delle case. La flessione è stata più marcata per i patrimoni più elevati mentre circa
il 70% delle famiglie è proprietaria dell’abitazione in cui risiede. La quota di proprietari è però ancora diminuita tra le famiglie con capofamiglia fino a 45 anni (dal 59 al 52 per cento tra il 2006 e il 2016).
Buone notizie invece sul fronte del debito privato. La quota di famiglie indebitate si è ancora ridotta, dal 23% al 21%: per queste famiglie, le passività rappresentano circa il 18% del patrimonio lordo. Tra il 2006 e il 2016 il calo della quota di famiglie indebitate è stato più marcato (oltre 10 punti percentuali) per le famiglie con capofamiglia tra i 25 e i 45 anni, riflettendo soprattutto il minor ricorso al credito al consumo.
La quota di famiglie finanziariamente vulnerabili è infine rimasta sostanzialmente stabile: circa 11% delle famiglie indebitate e circa il 2% del complesso delle famiglie.