Un filo rosso collega le sorti di due giovani occidentali, Nicole, soldatessa americana morta nell’attentato a Kabul, e Serena, studentessa italiana che celebra con altri seminaristi in questi giorni gli 80 anni del Manifesto di Ventotene. Il legame tra queste donne che non si incontreranno mai è l’incipit del testo federalista, dove si legge che l’uomo è un’entità autonoma che non può essere soggetta “alla volontà altrui”. La giovane che ha posto una domanda al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella sul futuro dell’Europa, sa che questo è un diritto universale che deve essere ancora sancito in una Costituzione Europea; la militare statunitense, il cui volto ha fatto il giro del mondo mentre sorridendo teneva in braccio un bambino afghano, ha perso la vita per difendere proprio questo principio di autodeterminazione.
L’Unione Europea ha perciò ruolo ancora più importante nel mondo, ora che lo sceriffo americano dopo venti anni di impegno ha deciso di ritirarsi dal martoriato paese asiatico ed è dare voce a questa richiesta di libertà che, come ha sottolineato il Capo dello Stato nel suo bellissimo discorso nell’isola pontina, nasce proprio dalla forza profetica del Manifesto. Diritti insopprimibili, democrazia, libertà di circolazione, sono infatti i capisaldi, oggi nella società iperconnessa e globale, ieri, al confine fascista in piena guerra mondiale, su cui si è costruita la pace in Europa e su cui L’Unione Europea ha eretto, accordo dopo accordo, trattato dopo trattato, crisi dopo crisi, una sua identità. Ma attenzione a non sprecare tempo in nostalgie nazionaliste legate alla perdita di sovranità o a pensare che l’accoglienza sia sempre un problema degli altri, come sostengono coloro che carezzano a parole lo sventurato profugo di guerra o di fame, e poi reclamano nei fatti in tutti i paesi europei, nessuno escluso, la chiusura delle frontiere.
Il momento per approfondire l’integrazione comunitaria è adesso, non si può perdere un minuto di più. I confini necessitano di una difesa comune, di un settore che lo supporti, di un esercito che ne fissi il rispetto della bandiera. Le architetture economiche devono pensare al bene comune e a chi è rimasto indietro. La moneta unica e la Banca centrale che la difende, hanno bisogno di un’unione bancaria che dia un assetto stabile ed organico alla piazza finanziaria del mercato più ricco del mondo. Politica estera e della migrazione non possono essere relegate a parole inserite nei comunicati di fine vertice. Come un’Europa complessa nella diversità e un suo popolo immerso ormai nella globalizzazione mondiale devono lottare per garantire i diritti di libertà a chi è fuori dallo spazio comune (anche queste considerazioni del Manifesto di Altiero Spinelli, Ernesto Rossi e Eugenio Colorni), così tutti i governi devono capire che non c’è strada diversa dal raggiungimento di una sovranità condivisa.
E questa definizione è il punto di caduta costituzionale che Mattarella indica a chi crede nell’Europa unita ma ha paura di sottomettersi a governi di euroburocrati, mentre gli scettici li relega a meri nostalgici “antipatizzanti” per principio dell’Unione. Ebbene a questi ultimi l’inquilino del Quirinale, con la sua forza tranquilla, consiglia di mettersi l’anima in pace: gli strumenti di integrazione, nel 1941 il Manifesto che ne ha tracciato la rotta, nel 2021, il Next Generation Eu, che lo ha in parte messo in pratica istituendo un sostegno economico post pandemico che poggia sul debito comune, sono per sempre e dunque rappresentano ormai un dato di fatto del futuro europeo e del mondo occidentale. Negli Stati Uniti d’America per la cui bandiera è morta Nicole Gee; e da questa parte dell’Atlantico, dove ancora in troppi non sono pronti a mettersi in gioco per la difesa del drappo stellato che pure li accompagna silenzioso da decenni insieme ai vessilli nazionali. Nessuno si illuda che questo cammino di integrazione sarà facile. Anzi, probabilmente sarà il contrario dopo la fine della crisi, perché l’utilizzo dei fondi comunitari post Covid rilanceranno invece la voglia di chiudersi nelle proprie piccole patrie e godere del malloppo insperato. Ma sarà una pia illusione quella di potercela fare da soli. “In Europa ci sono due tipologie di paesi, quelli piccoli e quelli che non sanno di esserlo” ha sintetizzato il Presidente della Repubblica, pensando proprio alla difficoltà di avere anche una consapevolezza dei propri limiti. Che fare dunque? Qualcuno crede, come Mattarella, che la Conferenza sul futuro dell’Europa sia un’occasione unica per una riforma sociale dei trattati, altri pensano che sia solo una perdita di tempo, altri ancora credono che si fermerà a discutere della situazione presente.
Di certo occorre provarci, come hanno fatto ottant’anni fa coloro che immaginarano pace e prosperità condivisa col regime che li costrinse al confino impugnando un fucile. Oggi sarebbe tutto più facile, con libertà, sviluppo e democrazia ormai sancite da tempo. Ma quel condizionale pesa come un macigno, forse perché non si lotta più per la vita propria e degli altri e la motivazione di chi non ha alternative è più forte di chi pensa di averne.