di Eleonora Romano
Per capire da dove nasce il MES e soprattutto tutte le polemiche legate ad esso è necessario tornare al 2009 quando la Grecia, avendo accumulato un altissimo tasso di deficit, correva il rischio di andare in default. Per salvare la situazione fu così organizzato un primo piano di aiuti da parte del Fondo Monetario Internazionale e dei partners europei, al quale seguì un secondo pacchetto di aiuti internazionali. Insieme a questi aiuti però, entrò in gioco la vigilanza della Troika (trio composto da Commissione Europea, Banca Centrale Europea e Fondo Monetario Internazionale) con il compito di imporre severe misure alla Grecia affinché si potesse riprendere dalla situazione di crisi e non rischiasse di caderci una seconda volta.
Con la successiva crisi del debito sovrano del 2010, l’Unione Europea decise di sostituire gli aiuti temporanei utilizzati per la Grecia con due strumenti veri e propri che non saranno altro che l’origine del MES: il Meccanismo Europeo di Stabilizzazione Finanziaria e il Fondo Europeo di Stabilità Finanziaria. Portogallo, Irlanda, Spagna e Cipro si ritrovarono così insieme alla Grecia a ricorrere a questi aiuti per risollevarsi dai pesanti debiti accumulati dalla crisi del 2007 e ciò portò anche questi paesi a subire la vigilanza della Troika e l’imposizione di severe misure. Nel Luglio 2012, questi due strumenti furono uniti nella creazione di quello che oggi chiamiamo MES: il Meccanismo Europeo di Stabilità. Uno strumento mirato a concedere prestiti a stati e banche, all’acquisto di titoli e a ricapitalizzazioni dirette. Per compensare questi aiuti, la Commissione Europea richiede agli stati meno virtuosi che ne usufruiscono di sottoscrivere un protocollo di intesa mirato normalmente a riforme specifiche: un consolidamento fiscale, l’attuazione di riforme strutturali o di riforme legate al sistema finanziario.
Per molti anni gli stati membri si sono trovati in disaccordo riguardo all’uso e alle misure del MES, per questo ci siamo ritrovati all’ultimo momento a discutere ancora una volta, dopo molti rinvii, di una sua riforma – approvata poi dal Parlamento italiano – che comprende l’aggiunta di due principali modifiche: il backstop e la procedura per la ristrutturazione del debito. Il backstop consiste nella possibilità di utilizzare il MES come ulteriore fondo d’emergenza per le banche nel caso in cui il Fondo di Risoluzione Unico (FRS) non dovesse bastare. La seconda modifica è una procedura mirata a ridurre il valore dei prestiti fatti allo Stato di una cifra precedentemente concordata.
Con l’arrivo della pandemia Coronavirus 2020, è stata proposta un’ulteriore modifica del MES che prevede l’introduzione di una linea d’emergenza fatta ad hoc per questa situazione straordinaria: il Pandemic Crisis Support. La nuova linea consiste nel fornire agli stati un prestito corrispondente ad un massimo del 2% del PIL ad un tasso dello 0,08%, che per l’Italia si tradurrebbe in una cifra di circa 35 miliardi ottenuti ad un tasso sostanzialmente nullo. Questa nuova linea creata appositamente per la pandemia risulta essere una versione “light” che riduce le condizioni per il suo utilizzo solamente all’obbligo di spendere i fondi del MES esclusivamente per coprire le spese sanitarie legate al Covid-19.
C’è da chiedersi da dove nascano allora tutte queste polemiche legate all’utilizzo del MES e la risposta possiamo forse trovarla in due principali motivi. Il primo motivo risiede nel fatto che una parte consistente della politica italiana ritiene possibile che l’UE possa introdurre successivamente dei sistemi di controllo, nonostante questo non sia previsto dalla nuova riforma Covid. Ciò è evidentemente non credibile in quanto il danno in termini di credibilità, affidabilità e reputazione che subirebbe l’UE sarebbe irrimediabile.
C’è da dire, in ogni caso, che dovrebbe essere naturale e doveroso assumere dei sistemi di controllo aggiuntivi della spesa da parte di chi accede ad un prestito rilevante per avere la necessaria sicurezza di giungere a restituirlo: questo vale per un privato, per un’azienda e, a maggior ragione, per uno Stato. Il secondo motivo, forse difficilmente confessabile, è legato all’orgoglio nazionale. Il MES ha rappresentato in passato una sorta di ultima spiaggia, una richiesta di aiuto necessaria e inevitabile di uno stato in condizioni di grandi difficoltà. È stato il manifestare la propria incapacità a gestire una situazione di crisi.
Stavolta però si accederebbe al MES esclusivamente per la linea di credito prevista per la pandemia, che non comprende quindi le severe condizioni e i limiti normalmente imposti: un aiuto mirato a contrastare questa crisi globale, imprevista ed ingestibile da tutti.
Con che coraggio quindi potremmo rifiutare l’aiuto del MES per la paura di restrizioni e apparenze mentre continuiamo ad ignorare il grandissimo e insostenibile debito pubblico di ormai più di 2.500 miliardi che ci caratterizza? È questo problema che, se ancora ignorato, sarà la vera causa di imposizioni estremamente dure da parte dell’Unione e di una vera perdita di credibilità da parte degli altri stati membri, non il MES. Le necessità del sistema sanitario italiano sono ad oggi rilevanti ed urgenti e il MES rappresenta un’offerta troppo conveniente per rinunciarvi.