C’è un fatto poco conosciuto della guerra civile americana, l’immenso conflitto che vide contrapposti tra il 1861 e il 1865 gli Stati Confederati d’America agli Stati Uniti. Durante la guerra civile l’esercito confederato, guidato dal generale Lee, conseguì inizialmente diverse vittorie, fino ad essere colpito in modo sempre più sistematico da una sempre maggiore penuria di armi, munizioni, vestiario e cibo. Andando a spulciare negli archivi, gli storici hanno scoperto infiniti carteggi tra gli Stati confederati, una confederazione di Stati indipendenti appunto, e il governo centrale di Richmond, frutto di un’intesa costituzionale debole. Il tema di questi carteggi era sempre lo stesso: all’ esercito mancavano le risorse e gli Stati erano sempre più litigiosi tra di loro su chi dovesse provvedere a queste risorse. Alcuni Stati più lontani dal fronte, come il Texas, in numerose occasioni si rifiutarono anche di estendere la leva obbligatoria e quindi di incrementare la propria presenza nell’esercito confederato. Una delle cause della sconfitta della Confederazione, di certo non l’unica, fu la mancanza di un vero governo centrale e la speranza che il carisma di alcune personalità, come Lee appunto, potesse sopperire alle lacune di questo modello di governo. L’ironia della storia ci porta ad osservare ora il mondo da una barca piena di migranti in quel grande lago che è il mar mediterraneo. L’anno è il 2017. La nave fa rotta chiaramente verso l’Europa e verso l’Italia. A guardarla da lontano numerose navi, civili e militari, di diversi Paesi europei. Il resto della storia la conosciamo, non solo perchè ne conosciamo già l’esito ma perché si sta svolgendo anche ora, in questo momento, durante la lettura di questo articolo. Il dramma dei nostri tempi, quello delle migrazioni e in particolare delle migrazioni dal continente africano, sembra il canto funebre di un’Europa distrutta, impaurita, divisa e soprattutto fallita. Un progetto fallito, in cui nessuno più crede, che aspetta solo l’ennesima crisi per dissolversi completamente. E’ un’Europa fallita perché non è riuscita a gestire la crisi finanziaria, è fallita moralmente sul caso del piccolo Charlie e fallisce ora nella solidarietà verso gli Stati membri. La domanda è una: fino a quando durerà l’illusione?
Ebbene l’illusione, quella vera, potrebbe essere quella che l’Italia stessa, in una specie di flusso di coscienza autoreferenziale, sta creando in questi mesi, osservando gli eventi in una lente deformata. Oltre le Alpi Emmanuel Macron, presidente francese noto per essere un fervente europeista, si sta insediando all’Eliseo e con un apparato simbolico tutt’altro che sobrio afferma di essere il punto di riferimento della nuova Europa, invitando al contempo il presidente americano Trump alla festa della presa della Bastiglia. La cancelliera Merkel, dall’altra parte del Reno, chiede agli europei di diffidare degli Stati Uniti e manda i propri ambasciatori in Medio Oriente per mediare, facendosi portatrice degli interessi europei si intende, sulla recente crisi del Qatar.Tutto questo, può sembrare sorprendente, non è affatto la fine e la morte dell’Unione Europea ma solo un segnale della sua incredibile vitalità. Infatti mentre la cancelliera Merkel chiude le porte, con il suo fervente discorso, agli Stati Uniti, Macron le apre per accreditarsi come interlocutore europeo forte e capace di mediare tra le due sponde dell’Atlantico. Al contempo la crisi mediorientale sembra spiazzare la Francia, da sempre convintamente a fianco di tutti i Paesi sunniti, e quindi apre le porte all’attiva diplomazia tedesca, sempre in nome dell’ interesse europeo. L’Europa quindi, quella che sembra oggi più vivace che mai, è un sorta di grande pivot in cui gli attori sono, come sempre sono stati, gli Stati nazionali, con i loro interessi e i loro limiti.
Ripercorrendo gli eventi degli ultimi anni possiamo vedere che, fin dalla crisi economica del 2008, un’intesa è sempre stata trovata, tra gli Stati membri, su come risolvere i continui problemi. Il metodo utilizzato è sempre stato lo scambio. La Grecia, negli ultimi anni, ha potuto scegliere: tentare il suicidio fuori dalla moneta unica o iniziare un programma di lacrime e sangue che l’avrebbe portata ad una risalita lentissima dalla china. Uscire dall’Unione, come la Brexit dimostra, è sempre un’opzione. Tutti i Paesi, eccetto Francia e Germania, possono essere utili al progetto europeo ma non ad esso indispensabili.
Ma veniamo all’Italia. La scorsa settimana mentre i media e i politici italiani condannavano l’Unione Europea per la sentenza sul piccolo Charlie, ennesimo segnale di un dibattito politico provinciale e non informato, Merkel e Macron partecipavano in prima fila (soli vicino all’ex presidente americano Bill Clinton) ai primi funerali solenni europei, quelli di Helmut Kohl. Oggi, durante la crisi dei migranti e la supposta “morte del progetto europeo”, a Parigi e a Berlino stanno studiando un rilancio dello stesso progetto sulla difesa comune. Ovviamente una difesa europea sempre in chiave intergovernativa. L’Italia potrebbe far parte di questo futuro, di queste due velocità su cui viaggerà presto l’Europa, ma potrebbe anche non farne parte. Potrebbe assistere a distanza o scegliere di giocare un’altra partita, a suo rischio e pericolo. Le regole del gioco tuttavia sono chiare. Se un progetto di Europa sta morendo questo non è certo quello dell’ Unione Europea, come ci vogliono far credere i giornali. Anzi l’Unione gode di ottima salute e basta leggere i giornali francesi, tedeschi o spagnoli per rendersene conto. La fine del progetto europeo, paventata brevemente durante l’ascesa di Madame Le Pen, non è più un tema. Allora quale Europa sta morendo? Quella federale forse, basata sulla fratellanza dei popoli europei e sulle nostre radici comuni? Un’Europa che non è mai nata, se non nelle idee di pochi? Se l’UE gode di ottima salute e l’Europa federale, basata su un popolo europeo, non è mai nata non si capisce cosa debba morire. Come in altri casi, se l’Italia in questa crisi vorrà un aiuto reale da parte degli altri Paesi non lo avrà di certo in modo incondizionato, così come nel caso della crisi bancaria o altro. Condizioni favorevoli forse, ma non certo disinteressate. Se invece vorrà uscire, con un governo Cinque stelle magari, nessuno la tratterrà contro la sua volontà. Del resto è un Paese a cui sono state date tante, talvolta troppe opportunità. E’ uno Stato che, invece di combattere i suoi 100 miliardi di corruzione ed evasione fiscale, preferisce tassare le imprese al 50% e poi dare la colpa all’Europa. E’ un Paese dove 1/3 dei giovani non riesce a creare una famiglia perché disoccupato, mentre diversi rappresentanti istituzionali si complimentano con gli immigrati che fanno figli perché, nonostante le condizioni disagiate, tengono alto il livello di natalità. E’ un Paese in cui 2200 miliardi di debito non esistono, mentre l’austerity è reale e danneggia l’economia. E’ insomma un Paese foriero di problemi. Se non la partita europea, quale partita vuole giocare l’Italia? Quella africana, forse turca? In nome di quale vicinanza culturale o interessi comuni? Domande in sospeso per il candidato premier partenopeo.
Eppure in questo schema delle cose, così perfetto nella sua semplicità, qualcosa forse sfugge nell’Europa vista dai palazzi della monarchia francese, eletti da Macron a simbolo della sua presidenza, così come dal freddo ma imponente Bundeskanzleramt di Berlino. E quello che sfugge è la sorte del generale Lee. Il generale confederato, simbolo dello spirito patriottico della confederazione e a cui vennero intitolate, dopo la dipartita, numerosi monumenti commemorativi, venne accusato in vita di aver voluto difendere, testardamente e forse ciecamente, più il suo Stato natale, la Virginia, che il resto della Confederazione Americana. Anche il simbolo di quello che fu un esperimento confederale portò a dubitare del suo attaccamento alla causa. La storia è piena di esempi come il suo. Diversi Stati, anche con caratteristiche linguistiche e culturali simili, hanno fallito nel strutturare una collaborazione tra loro per semplice egoismo nazionale. La soluzione, l’unica che è stata dimostrata funzionante, è invece l’ipotesi federale di governo forte e incaricato della rappresentanza comune. Chiunque sia il Lee di turno, anche in salsa europea, non potrà fare di più per questa strana confederazione che è l’Unione Europea di quanto Lee fece per la sua