L’analisi dell’editorialista Guido Salerno Aletta (tratta da Start Magazine)
Se è vero, come sosteneva Carl Schmitt, che le istituzioni del diritto pubblico europeo non sono altro che forme secolarizzate di concetti teologici cristiani, la indizione delle prossime elezioni del Parlamento europeo, a fine maggio, potrebbe essere considerata come la convocazione di un nuovo Concilio ecumenico, il luogo in cui si svolgerà il cammino comune dei cittadini, così rappresentati.
Il richiamo al Concilio, istituto caratteristico della Chiesa di Cristo, ha una ragione specifica: mai come stavolta la rappresentanza non rispecchierà le tradizionali identità politiche su cui si è costruita l’Europa: si aprirà un dibattito esistenziale, profondo e divaricato come mai finora. Le tradizionali categorie parlamentari, maggioranza ed opposizione, sono inadatte a rappresentare ciò che si sta preparando.
Ci si dividerà profondamente: fra tradizionalisti ed ortodossi da una parte, eretici e scismatici dall’altra.
E, si badi bene, oggi non si sta combattendo “La prima guerra di secessione europea”, come pure l’ha definita con grande lucidità Roberto Sommella nel suo ultimo libro dal titolo Gli arrabbiati, dedicato alle tensioni esistenti nell’Unione. La prima, asperrima, fu combattuta per via diplomatica, ed ebbe luogo nel periodo compreso tra la Caduta del Muro di Berlino, la Riunificazione tedesca, e l’accessione all’Unione dei Paesi appartenenti all’ex Patto di Varsavia.
Soccorre il richiamo alla Guerra di Secessione americana: allora, il problema cruciale era rappresentato dalla attribuzione agli Stati Federati ovvero la conservazione a favore dei Confederati del baricentro politico ed economico che sarebbe derivato dall’ingresso formale dei Nuovi Territori ad Ovest. Lo schiavismo in agricoltura, se fosse stato esteso ai nuovi Stati annessi, avrebbe mantenuto il potere politico, economico e sociale agli Stati del Sud che prosperavano attraverso quel sistema socio-produttivo. Di conseguenza, avrebbero mantenuto il predominio sulla intera Unione, visto che gli Stati dell’Atlantico erano solo una loro dipendenza commerciale verso il resto del mondo.
Alla stessa maniera in Europa, tutto il processo politico, economico ed istituzionale che ha caratterizzato l’unificazione della Germania, l’adozione del Trattato di Maastricht, il consolidamento del Sistema Monetario Europeo e l’estensione a nord-est dell’Unione, ha provocato una diversa allocazione del potere a favore della Germania e degli Stati del Nord Europa e l’affermarsi di una nuova Costituzione economica e monetaria che altro non era se non l’estensione a tutti di quella tedesca.
La Brexit, decisa a valle delle riforme introdotte per affrontare la crisi del 2008, attraverso il Patto di Stabilità e crescita, l’Istituzione del Sistema Europeo di Stabilità e della Banking Union, è una vera e propria secessione, anche se ancora non è chiaro come si concluderà, entro il 29 marzo, il processo in corso.
Le previsioni circa i risultati delle elezioni europee mettono in evidenza tre dati salienti. Innanzitutto, i due principali gruppi tradizionali, PPE e SD, vedranno pesantemente ridimensionata la propria rappresentanza, con i Popolari ridotti a 176 seggi (-43) ed i Socialisti & Democratici a 133 seggi (-55). Poiché il plenum è di 705 seggi, in ogni caso ci sarà bisogno di alleanze ampie.
C’è un altro dato significativo: l’asse franco-tedesco non condivide posizioni di forza nei due gruppi maggiori: tra i Popolari, gli eletti tedeschi sarebbero 30, mentre non è prevista alcuna presenza di eletti in Francia, considerando che LREM che sostiene la Presidenza Macron, accreditata di 20 seggi, viene ancora considerata “non affiliata”. In S&D, i rappresentanti tedeschi sarebbero 14, e solo 5 quelli francesi. L’ALDE, l’Alleanza di Liberali e Democratici di orientamento favorevole al federalismo europeo, confermando gli attuali 68 seggi, sarebbe ancora il terzo gruppo per importanza, ma ad essa non aderirebbe nessun rappresentante francese, mentre i tedeschi sarebbero 8. Nessun rappresentante di Francia e Germania dovrebbe aderire invece al gruppo dei Conservatori e Riformisti, accreditato complessivamente di 50 seggi.
La rappresentanza franco-tedesca è la più sbriciolata: tra i Verdi di sinistra, gli eletti tedeschi sarebbero 9 ed 8 quelli francesi; tra i Verdi dell’Alleanza europea, ci sarebbero ben 18 tedeschi ed 8 francesi, con una adesione complessivamente superiore a quella in S&D. Il gruppo degli Euroscettici, EFDD, è accreditato di 42 seggi, di cui 13 rappresentanti tedeschi, 6 francesi e ben 21 italiani. Infine nel gruppo Europa delle Nazioni e della Libertà (ENF), che dovrebbe avere ben 60 seggi, ci sarebbero 28 eletti italiani e 21 francesi, ma nessun tedesco.
Infine, i probabili eletti nelle formazioni politiche attualmente non presenti nel Parlamento europeo sarebbero 20 in Francia, nelle liste de LREM, ed altri 52 nel resto dell’Europa. In un contesto socio-culturale in cui non è più sentita la contrapposizione storica tra partiti liberaldemocratici e socialdemocratici, servono nuovi schemi di riferimento.
Innanzitutto, ci sarebbe una componente sostanzialmente eretica: è quella che mette radicalmente in questione l’attuale modello di sviluppo economico sotto il profilo della sostenibilità ambientale. E’ rappresentata dai Verdi, che si presentano con due distinte formazioni, che conquisterebbero complessivamente di 96 seggi.
C’è poi una componente scismatica: seppure eterogenea, affronta in termini esistenziali le relazioni democratiche tra cittadini, Stati ed Unione Europea, ribaltandole comunque a favore dei primi due. È composta dai conservatori-riformisti (ECR), dagli euroscettici sovranisti (ENF), dai populisti così definiti in quanto sostengono la democrazia diretta (EFDD) e dalle formazioni attualmente non rappresentate.
Arriverebbe in totale a 204 seggi. Rappresenta la frattura profonda rispetto ai vettori che hanno caratterizzato finora la costruzione ed il funzionamento della Unione eurpea: non condividerà mai il processo di sovranità condivisa che viene sostenuto dai tradizionalisti.
Complessivamente la rappresentanza di coloro che mettono in discussione il nodello di sviluppo economico (gli eretici) e quello istituzionale europeo (gli scismatici) arriva a 310 seggi: poco meno della metà della rappresentanza complessiva nel Parlamento europeo.
Sul versante opposto troviamo i tradizionalisti, i rappresentanti dei Partiti fondatori prima della Comunità e poi della Unione europea, che si riconoscono nei due gruppi ancora più numerosi, PPE e S&D. Ad essi vanno aggiunti gli ortodossi, i federalisti europei aderenti l’ALDE. Con i 377 rappresentanti di cui sono accreditati complessivamente, e nonostante la forte flessione dei primi due, avrebbero la maggioranza del Parlamento, seppure risicata: questa è la spaccatura escatologica che si rinviene all’interno dell’Unione. Tradizionalisti ed ortodossi lavorano per una Unione politica, una prospettiva che è apertamente osteggiata dagli scismatici.
In questa prospettiva, non c’è dubbio che il recente Patto di Aquisgrana, un trattato bilaterale tra Francia e Germania, si ponga come la vera e più profonda secessione dall’Unione europea. Il coinvolgimento dell’Italia, con un Trattato del Quirinale a due, tra Francia ed Italia, avrebbe segnato definitivamente la fine del progetto europeo, che si fonda sulla condivisione multilaterale dei vantaggi della collaborazione politica ed economica, così come avvenne sin dagli albori, con la Ceca, che coinvolse non solo Francia e Germania, i principali interessati allo sfruttamento dei bacini carboniferi della Ruhr, ma anche Belgio, Lussemburgo, Olanda ed Italia.
Francia e Germania hanno di fatto abbandonato il processo europeo, non riuscendo più a dominarlo: il vero sovranismo sta nel Patto di Aquisgrana, un trattato stipulato a tutela esclusiva degli interessi nazionali dei contraenti. Per questo, le tensioni favorevoli ad uno scisma europeo sono ora così forti: tirano giù il sipario, a commedia già finita.