“Juventino! Appassionato di calcio e politica. Cattolico liberale (non liberal). Dottore magistrale in sc pol! Filorusso, sovranista, filo israeliano, anti-buonista.” Questa è la bio su Twitter di un account dal nome: “Sovranista Juventino”. Nome cui seguono bandiere di (in ordine): Brasile, Italia, Russia, Israele, Polonia, Ungheria e Juventus. Lo screenshot di questo account negli ultimi giorni ha fatto il giro del web perchè è la perfetta rappresentazione della generale confusione che ha attraversato il ‘gioco’ politico negli ultimi 5 anni. Può far ridere, può sicuramente essere un fake, un account creato apposta per essere preso in giro. Ma rappresenta molto bene il moderno problema di fondo della democrazia italiana. Perché è innegabile che la seconda repubblica, rispetto alla precedente, abbia avuto come connotazione principale quella dell’introduzione del tifo da stadio nel linguaggio politico. Andava oltre la satira Caterina Guzzanti quando, imitando un’attivista di Casapound, chiariva: “sono a Casapound da un anno, prima ero della Roma”. Dall’Hotel Raphael alle piazze viola, passando per i Vaffa day e le Leopolde fino ad arrivare alla folla che riempie le strade delle città dove passa Salvini per acclamarlo ed incoraggiarlo, la politica è diventata sempre più l’annientamento dell’avversario, piuttosto che l’affermazione delle proprie idee. Un po’ come fecero i tifosi della Lazio quando, in seguito alla sconfitta della Roma con il Liverpool in semifinale di Champions League, festeggiarono con i fuochi di artificio l’eliminazione della rivale. Loro che erano usciti qualche settimana prima dall’Europa League, competizione di prestigio ben minore. Come a Napoli si festeggiò alla stessa maniera l’eliminazione ai quarti di finale di Champions della Juventus contro il Real Madrid. Come i grillini e i leghisti hanno festeggiato il 19% del PD il 4 Marzo quasi più di quanto non abbiano festeggiato i propri di risultati. Non era tanto il “siamo arrivati fin qui”, ma piuttosto un “abbiamo ricacciato il PD al…”. La Lega, il Movimento 5 Stelle, il PD, Forza Italia, insieme agli altri partiti, non sono ormai altro che squadre con tifosi e società a sostegno, che si combattono per puro sport e con qualche “sosta nazionali” e qualche turnover di centravanti che vanno in ritiro in Sud America. E le fedi calcistiche sono dure da smuovere e cambiare. Per cui chi tifa Roma la tiferà quando vince e quando perde, la sosterrà in qualunque momento, spesso dicendo che il rigore fischiato contro non c’era, mentre quello a favore era evidente. A prescindere dalle dinamiche del fallo, ma riguardandolo per raccogliere tutti gli indizi che suggeriscano che sia stata commessa una scorrettezza, se contro la Roma, o un intervento pulito, “chirurgico” per usare il gergo calcistico, se contro gli avversari. Un esempio di tifo irrazionale che non riesco a togliermi dalla mente me lo fornì un tifoso Romanista con una orrenda cresta gialla qualche anno fa quando, allo stadio dove si teneva l’incontro Roma-Napoli, urlò ad Hamsik la frase: “Ma guarda che capelli c’hai ‘a deficiente”. Sebbene fosse una situazione divertente perché paradossale, poteva avere senso in quel contesto perché allo stadio si supporta la propria squadra e si insulta e fischia quella opposta e chi ne fa parte. A prescindere dalla ragione o dal torto. Nulla di strano, nulla di sbagliato. Nessuno in mezzo alla curva Sud si alza in piedi e commenta: “Però oggi bisogna dire che la Juve sta usando la linea della difesa davvero bene. Complimenti Allegri!”. Il dramma è che non lo fa nessuno nemmeno in politica. Ed è qui che il meccanismo della seconda repubblica si è bloccato: non è più la lotta tra partiti, non è più uno scontro per il bene pubblico ma è una competizione tra società private che coltivano giovani talenti nella “Primavera” per poi metterli titolari in qualche talk show dove devono, secondo l’orrendo gergo politico moderno, “asfaltare” l’avversario. Quanti “Dibba asfalta Renzi” dovremo ancora sopportare, quanto tifo indemoniato su Twitter, quanti cori da stadio che in politica diventano slogan ripetuti fino allo sfinimento? La linea che divide i vari “aiutiamoli a casa loro”, “Onestà! Onestà!” e “menomale che Silvio c’è” dai vari “e la Lazio merda”, “Odio Napoli” e “Milano in fiamme” è davvero sottile. L’aspetto che forse più ha caratterizzato questa ultima stagione politica è stato quello dell’odio feroce, esasperato ed indomabile per chi vota diversamente dalla scelta che è per ognuno giusta, ovvia ed unica possibile per chi è onesto davvero. Tutti i votanti si sono comportati come se la loro croce sulla scheda fosse talmente ovvia che trascciarla altrove sarebbe stato certamente ed inequivocabilmente segno o di stupidità o di malafede. Nel dialogo con i sostenitori delle varie fazioni, questi comunicavano la loro scelta come se la domanda fosse inutile e anche un po’ cretina. Come a dire: “Non vedi che sono intelligente? Cosa posso votare secondo te? Quegli altri? Ti sembro stupido? Ti sembro un criminale? E allora che altra scelta avevo se non votare x?”. I social sono stati inondati da termini come “grullino”, “pdiota”, “fascio-leghista”, insulti non diretti al partito ma a chi lo votava. E le domeniche sportive si sono mischiate alle giornate politiche in cui da una parte si apostrofava “infame” un laziale su Twitter mentre su Facebook si dava del “cretino” ad un “grullino” sotto un post di Scanzi. “Rubentino” e “pdiota” si mischiavano in un marasma di insulti, tifo forsennato e confusione che sono, che sia vero o finto, benissimo rappresentati da quell’account di Twitter, “Juventino sovranista”. I due linguaggi, gli atteggiamenti di chi vi si interessa, la “fede incrollabile” del tifoso e l’orgoglio nel comunicare la propria appartenenza ad un partito o a una squadra si sono andate avvicinando e somigliando sempre più, fino quasi a diventare valide alternative l’una all’altra negli attimi di noia. Cambiare idea prima era un segno della capacità di mettersi in discussione, di confrontarsi e di progredire, di contaminarsi nelle proprie convinzioni. Ma prima si parlava di politica, non di tifo. Ora cambiare “squadra” è da infami, è vergognoso, è da “Scilipoti” e da voltagabbana. Se hai scelto un’idea politica a 20 anni deve essere quella fino alla morte o sei un venduto. Perchè oramai non si tratta più di idee, ma di fede. E di fedi in Italia cominciamo ad averne un po’ troppe.