La prossima presidenza del Consiglio dell’Unione Europea sarà a guida ungherese. Alla luce dei rapporti tesi che il Paese ha con molti Stati membri, quanto è a rischio la continuità dei lavori durante il suo mandato?

 

Da luglio a dicembre 2024 sarà l’Ungheria di Viktor Orbán a detenere la presidenza del Consiglio dell’UE, da tempo in “conflitto” con la maggioranza degli altri Paesi dell’Unione su vari fronti, a causa dell’utilizzo del diritto di veto in nome di interessi nazionali ungheresi, in decisioni per cui è necessaria l’unanimità dei Paesi membri, una su tutte la “questione ucraina”. È invece più recente “un conflitto interno” ungherese, che non si manifestava in forma così estesa da molti anni, che ha visto riunirsi centinaia di migliaia di persone nelle strade in protesta contro il governo, incitate da Péter Magyar, un ex membro del partito dello stesso premier ungherese, che denunciando corruzione nel governo e dell’opposizione, si propone come terza via, puntando ufficialmente a fondare un partito che possa sfidare Orbán già alle elezioni europee di giugno. Tuttavia la politica che intende attuare e la sua ideologia rimangono per lo più ignote, si professa contro la corruzione, l’elite, per il rafforzamento dello Stato di diritto e per il miglioramento dei rapporti con le istituzioni europee. Una domanda sorge spontanea…verrà garantita la continuità dei lavori dell’UE? Partiamo dalle basi approfondendo il meccanismo della Presidenza e i suoi compiti.

Cos’è e cosa fa il Consiglio dell’UE

La presidenza del Consiglio dell’Unione Europea è tenuta da uno Stato membro a cui è affidato ruolo di presiedere le riunioni contribuendo a garantire la continuità dei lavori dell’UE. I paesi dell’UE assumono la presidenza a rotazione con un meccanismo stabilito negli anni ‘50, quando la Repubblica Federale Tedesca ricoprì per la prima volta questo ruolo da settembre a dicembre. Da lì si inizia a ruotare, ogni sei mesi. Con il crescente allargamento dell’UE ed entrata in vigore del Trattato di Lisbona nel 2009, si è passati a più Stati membri che a turno detengono la presidenza collaborando strettamente a gruppi di tre, chiamati non a caso “trio”. Il “trio” fissa degli obiettivi a lungo termine e un programma comune che stabilisce i temi e le questioni principali che saranno trattati dal Consiglio per un periodo di diciotto mesi, sulla base del quale ognuno dei tre Paesi porta avanti il proprio programma semestrale più dettagliato.

La presidenza ha insomma il compito di portare avanti i lavori del Consiglio sui lavori dell’Unione europea, garantendo la continuità dell’agenda dell’UE, il corretto svolgimento dei processi legislativi e la cooperazione tra gli Stati membri. A tal fine, la presidenza deve agire come un mediatore leale e neutrale.

 

La presidenza ha due compiti principali:

  1. Pianificare e presiedere le sessioni del Consiglio e le riunioni dei suoi organi preparatori che comprendono comitati permanenti, come il Comitato dei rappresentanti permanenti (Coreper), e i gruppi e comitati che si occupano di temi specifici. La presidenza assicura il regolare svolgimento dei dibattiti e la corretta applicazione del regolamento interno e dei metodi di lavoro del Consiglio. Organizza inoltre varie sessioni formali e informali a Bruxelles e nel Paese che esercita la presidenza a rotazione.

 

  1. Rappresentare il Consiglio nelle relazioni con le altre istituzioni dell’UE, in particolare con la Commissione e il Parlamento europeo. Il suo ruolo è adoperarsi per raggiungere un accordo sui fascicoli legislativi attraverso triloghi, riunioni informali di negoziazione e riunioni del comitato di conciliazione.

Dunque la presidenza il Paese in carica lavora in stretto coordinamento con il presidente del Consiglio europeo e l’Alto rappresentante per gli affari esteri. Ne sostiene i lavori e può talvolta essere invitata a svolgere determinate mansioni per conto dell’alto rappresentante, come rappresentare il Consiglio “Affari esteri” dinanzi al Parlamento europeo o presiedere il Consiglio “Affari esteri” quando quest’ultimo discute questioni di politica commerciale.

L’attuale presidenza belga

Il trio di presidenza attuale è formato dalle presidenze spagnola, belga e ungherese.

Dal 1° gennaio 2024, il Belgio ha assunto la Presidenza del Consiglio dell’Unione Europea che deterrà fino al 30 giugno 2024. All’insegna del motto “Proteggere. Rafforzare. Preparare.”, scandito dal Paese anche sul sito ufficiale inaugurato per il semestre, il Belgio si concentrerà su sei aree tematiche per i suoi lavori durante la presidenza:

  • difendere lo Stato di diritto, la democrazia e l’unità
  • potenziare la nostra competitività
  • perseguire una transizione verde e giusta
  • rafforzare la nostra agenda sociale e sanitaria
  • proteggere le persone e le frontiere
  • promuovere un’Europa globale.

 

Il primo ministro belga, Alexander De Croo, durante la presentazione delle priorità politiche della presidenza belga, l’8 dicembre 2023 ha sottolineato che: “Il Belgio assume la presidenza del Consiglio in un periodo difficile. È un vero onore, ma anche una responsabilità. L’Unione europea non si è mai evoluta in linea retta ed è spesso nei momenti più difficili che sono stati compiuti i maggiori progressi.

Si tenterà il colpo di mano?

Al netto di queste spiegazioni è importante guardare alla fine di questo semestre e al “valzer di poltrone” presidenziale.

Ovunque abbia potuto, riporta il quotidiano tedesco “Die Zeit”, negli ultimi anni l’Ungheria ha gettato sabbia negli ingranaggi dell’UE, bloccando, minacciando e ricattando. A dicembre 2023 il primo ministro ungherese ha bloccato il trasferimento di 50 miliardi di euro in aiuti militari all’Ucraina, che ha portato al vertice di febbraio. Era stato detto che Orbán sarebbe rimasto fedele alla sua linea e si prevedevano lunghe trattative. Se si fosse allineato agli altri Paesi UE, il primo ministro ungherese avrebbe ricevuto molto in cambio, molti soldi da Bruxelles, per esempio. E così ha fatto. È probabile che il vertice venga ricordato come uno dei più brevi nella storia dell’UE. E Orbán? I leader hanno concordato di rivedere la spesa dell’Ucraina dopo due anni; nessun costo per l’UE e Orbán è potuto tornare a casa sostenendo di aver ottenuto un’importante vittoria negoziale.

 

In molti ritengono che questa attitudine sia incompatibile con i ruoli di guida dell’Unione, tanto che lo stesso Parlamento europeo ha approvato una risoluzione lo scorso giugno che mette in dubbio la credibilità del governo di Budapest nel ricoprire la presidenza di turno dell’Unione nel secondo semestre del 2024, minacciando “opportune misure” di opposizione. Il Parlamento però non ha alcun potere di modificare l’assegnazione della presidenza di turno, che invece spetta al Consiglio. Il quadro legale è complicato e la decisione spetta agli Stati membri.

I governi di Bruxelles e Madrid, secondo una recente dichiarazione del professor Alberto Alemanno, docente di diritto dell’Unione all’École des hautes études commerciales di Parigi, potrebbero decidere di dirigere nei rispettivi semestri le discussioni relative allo stato di diritto, impedendo che le presieda l’Ungheria. O persino “dividersi” il semestre ungherese ampliando a nove mesi le loro presidenze, anche se in questo caso servirebbe il (difficile) assenso di Budapest.

I trattati dell’Unione consentirebbero anche di modificare le regole nel caso in cui non sia possibile nominare un successore. Basterebbe un voto a maggioranza semplice, cioè con il sostegno di 14 Stati membri su 27, per nominare un presidente temporaneo e impedire così a Orbán di assumere la carica.  Per quanto riguarda le recenti proteste nei confronti di Orbán e del suo governo da parte di Péter Magyar, sconosciuto ai più fino a pochi mesi fa, riprendendo una riflessione del giornalista Emilio Mola, è presto per esprimere un giudizio sulla sua persona e il suo operato, anche perché pur presentandosi come il “nuovo” che rovescerà il potere, si conoscono poco le sue idee. Non ci resta che attendere i risultati delle elezioni europee, che saranno un buon indicatore del consenso del regime, dalle quali si potranno trarre nuove considerazioni sul futuro politico dell’Ungheria.

Fonti