(Seconda parte di “Sei scosse per cambiare l’Italia”)
Non vediamo più la bellezza che abbiamo davanti perché siamo ingolfati di leggi. Eppure una piccola norma dagli effetti importanti ci sarebbe e sarebbe utile ad aprirci gli occhi e far arrivare capitali. L’articolo 22 della legge di Bilancio del 2017 prevede delle misure di attrazione degli investimenti. Èstata subito ribattezzata come norma attira-milionari e mutua la sua filosofia da quella inglese che ha reso Londra la capitale più ricca del mondo senza gli inglesi, la ‘resident not domicilied’. I nuovi residenti, potranno pagare al Fisco un forfait annuo per i redditi prodotti all’estero, con una serie di condizioni stringenti tra cui quello di dimostrare la provenienza lecita dei patrimoni ed avere fondi personali a disposizione di almeno un milione di euro. Le disposizioni garantiscono a chi non è residente in Italia da almeno nove anni (o non lo è mai stato) e intende trasferirsi nella penisola di non pagare imposte sui redditi prodotti all’estero, fatta eccezione per una cifra forfetaria annua di 100 mila euro, da versare in un’unica rata, cui si aggiungeranno altri 25 mila per ogni famigliare che prenderà la residenza. Tre le condizioni per accedere a questo regime tributario: acquistare titoli di stato per almeno due milioni di euro (con obbligo di mantenerli in portafoglio per un periodo non inferiore ai due anni); effettuare un investimento di almeno 1 milione di euro ‘’in un’impresa italiana’’ sempre con l’obbligo di mantenerlo per un periodo non inferiore al biennio; oppure attivare una ‘’donazione filantropica di almeno un milione di euro in un settore considerato prioritario’’, come il recupero del patrimonio artistico naturale, la gestione dell’immigrazione, l’istruzione, la ricerca e attività similari.
Così come è, la norma nasce morta. Quale straniero potrebbe fidarsi di venire in Italia, patria di burocrazia e immobilismo per fare investimenti? A meno che questa norma non venga collegata alla più grande ricchezza che abbiamo: l’Italia stessa. Un museo a cielo aperto. Occorre quindi prevedere questa tassazione di vantaggio anche per i novelli Mecenate stranieri che investiranno direttamente, senza intermediazioni di sorta e saltando passaggi burocratici, nella ricostruzione di un centro storico, di una chiesa o di un ponte. In questo caso, si potrebbero anche emettere speciali titoli di stato, gli Italy Bond, per collegare la tutela del patrimonio artistico italiano agli immensi capitali in giro per il mondo alla ricerca di investimenti agevolati.
DEBITO PUBBLICO
Per anni si è parlato di un taglio del debito pubblico e della necessità di fare una stima degli assets statali da dismettere. L’ultima fatta risale a dieci anni fa. Il patrimonio pubblico, mobiliare e immobiliare, sarebbe pari a circa 400 miliardi di euro, da un’azione dell’Eni al faro sperduto in Sardegna. Serve una due diligence seria e immediata per capire due cose: a quanto ammonta attualmente questo patrimonio e quanti sono davvero i debiti fuori bilancio, quei ‘pagherò’ dell’amministrazione di cui non si trova traccia negli impegni di spesa. La Corte dei Conti è arrivata a stimare nel 10% quella parte di bilancio pubblico che non ha riscontri cartacei nei libri di bilancio. A ciò deve essere preposta una struttura apposita della Ragioneria Generale dello Stato, messa troppo da parte e invece struttura di eccellenza, con il contributo della Corte dei Conti, senza nominare inutilmente un esterno alla Spending Review.
Una volta verificata l’entità di questo patrimonio, che spesso non produce alcun reddito, va messo a frutto emettendo titoli di debito nuovi che possano essere scambiati con altri già in circolazione, che andrebbero poi cancellati.
Le privatizzazioni finora compiute in Italia, dal 1992 ad oggi, hanno fatto incassare allo Stato 170 miliardi di euro ma il debito è rimasto altissimo: oltre il 133% del Pil e sopra i 2.300 miliardi di euro. È evidente che va ristrutturato, senza vendere i pochi gioielli di famiglia che peraltro sono finiti quasi tutti in mani straniere.
Parallelamente a questa operazione, occorre inserire nella legislazione italiana, sulla base del principio comunitario di reciprocità, una norma che preveda l’impossibilità per uno stato membro di scalare un’azienda nazionale ritenuta strategica. E’ inaccettabile che i francesi blindino le loro aziende e poi gestiscano o addirittura comandino, in giganti un tempo pubblici o quanto meno italiani come Generali, Telecom, Parmalat, Mediobanca. Tutte le banche italiane più importanti sono attualmente sotto il controllo di fondi esteri, quando una volta erano a guida statale. Questo ha comportato da una parte, un impoverimento dell’economia italiana e dall’altra, una dipendenza dello stesso gestore del debito pubblico dagli istituti di credito che ancora oggi detengono nei loro bilancio un quarto dei titoli emessi dal tesoro.