La Commissione Europea ha “fatto la storia” – usando le parole di Ursula Von der Leyen – approvando il “Patto su migrazione e asilo” ma la strada verso la sua piena attuazione è ancora lunga. Proposto dalla Commissione nel settembre 2020, è stato adottato dal Parlamento europeo ad aprile 2024 e dal Consiglio a maggio 2024. Gli strumenti giuridici così varati – nove provvedimenti legislativi e una direttiva – sono entrati in vigore l’11 giugno e diventeranno applicabili a partire da giugno 2026. Ne commentiamo il presente e il futuro con Maurizio Molinari, responsabile dell’ufficio in Italia del Parlamento Europeo (PE) con sede a Milano.

 

Prima dell’approvazione del Patto, per 34 anni, il sistema di accoglienza europeo è stato normato dal regolamento di Dublino, approvato nel 1990 ed entrato in vigore nel 1997. Il mondo però cambia velocemente. Quello di fine anni ‘90 era un contesto in cui i flussi migratori erano contenuti, non c’era ancora il trattato di Maastricht e non c’era de facto l’Unione Europea. 

Il punto di rottura si raggiunse con il naufragio di Lampedusa del 3 ottobre 2013 in cui morirono 366 persone e si capì che il fenomeno migratorio era in aumento. Di lì a poco, nel 2015, si registrò il record di arrivi dal Mediterraneo. La situazione stava cambiando e anche la cooperazione tra Paesi venne messa in discussione. 

L’accordo oggi faticosamente raggiunto si muove lungo questo solco e avrà un notevole impatto su come gli Stati membri tratteranno i migranti e coloro che cercheranno asilo in Europa. Il cambiamento più incisivo è di certo l’introduzione di un sistema di accoglienza condiviso basato su responsabilità e solidarietà. In particolare, si è cercato di dare risposta al tema delle forti pressioni umanitarie a cui sono sottoposti i Paesi di “primo approdo”. Il principio di solidarietà, ad esempio, prevede che in situazioni di crisi si attinga ad un “solidarity pool”, un fondo a cui tutti gli Stati sono chiamati a contribuire in percentuale alla propria popolazione e al proprio PIL.

Il nuovo Patto rende più stringenti anche i parametri per poter richiedere asilo. Si pone l’accento sulla necessità di rimpatriare velocemente chi non ne ha diritto e aumentare i controlli delle frontiere esterne per limitare le immigrazioni irregolari e inasprire la lotta ai trafficanti. In ogni caso il richiedente non avrà il diritto di scegliere a quale Stato membro debba essere presentato l’esame della domanda di protezione internazionale o in quale Stato membro debba essere trasferito. Sarà data priorità alle riunificazioni familiari e possibili legami saranno identificati il prima possibile. Nel processo di valutazione, perciò, verranno considerati anche diplomi ottenuti in uno Stato membro, relazioni significative con lo stesso e conoscenza della lingua. 

 

Un atto compromissorio

Il Patto – sostenuto principalmente da esponenti dei gruppi moderati di EPP (centrodestra), S&D (centrosinistra) e Renew (centro liberale) – ha registrato da subito una forte contrarietà dell’estrema destra che ritiene le misure non abbastanza severe e, dall’altra parte, la critica dei Verdi e della Sinistra che sostengono rappresenti “la morte del diritto d’asilo”. Quest’ultima voce si è fatta sentire a lungo, anche attraverso manifestazioni di ONG e varie associazioni che difendono i diritti umani. L’European Correspondent è arrivato a definire il Patto “il tradimento dei valori europei”. Sebbene infatti nel processo di identificazione e ricollocazione delle persone migranti si sostiene che dopo le operazioni di ricerca e soccorso si terrà conto delle vulnerabilità dei minori non accompagnati e di altri soggetti fragili, molteplici sono gli elementi controversi. Un esempio è “il Regolamento Crisi” che viene descritto come una “soluzione di emergenza”: in caso di “afflusso di massa”, di arrivi irregolari o se il sistema è in sovraccarico, gli Stati membri potranno applicare misure più severe e misure detentive. Molti dei provvedimenti, commenta Maurizio Molinari, entreranno in vigore tra due anni: “Ci sarà una valutazione dell’efficacia del quadro di norme che verrà creato per gestire i flussi migratori. Qualora dovessero essere rilevati degli aspetti di discriminazione ci sono strumenti giuridici come la Corte europea di giustizia e la Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo (che non è un’istituzione europea, ma che in alcuni casi può essere chiamata in causa)”.

In definitiva, ricorda il direttore, “il patto è frutto di negoziati complessi influenzati dai cambi di governi in vari Paesi membri. Da un lato l’Unione Europea ha mantenuto una maggioranza composta principalmente da socialisti, popolari, liberali. Dall’altro lato c’è stato uno spostamento a destra nei governi, con un approccio più sicuritario sull’immigrazione. In carica c’era un Parlamento che spingeva per una maggiore condivisione delle responsabilità, spingeva per canali di entrata legali e aumentare le possibilità di entrare legalmente (Blue Card oppure schemi di ricollocamento, che prevedono di portare in Europa i richiedenti asilo dai loro Paesi di origine), ma i numeri non erano sufficienti. Il Consiglio, quindi gli Stati membri, erano e sono più concentrati sul controllo delle frontiere esterne. Questo patto è il risultato di un compromesso, che rispecchia un approccio di centro destra nell’affrontare i fenomeni migratori. Tutti gli accordi e le misure che l’UE adotta sono frutto del nostro voto. Le misure che i nostri rappresentanti in Parlamento approvano derivano dalla nostra scelta come cittadini europei; abbiamo deciso tutti insieme che l’Unione vada in una certa direzione. È importante monitorare cosa succederà, come verrà implementato il Patto ed essere attivi per continuare a influenzare le scelte della politica”.  

 

I prossimi passi

Ad oggi, con l’insediamento dei nuovi eurodeputati, la Commissione principale che si occupa di temi migratori – la Commissione Libertà Civili – vede il contributo di otto deputati italiani e nove membri sostituti.

  1. Alessandro Zan (vicepresidente, S&D)
    2. Giuseppe Antoci (The Left)
    3. Susanna Ceccardi (PfE)
    4. Caterina Chinnici (PPE)
    5. Alessandro Ciriani (ECR)
    6. Paolo Inselvini (ECR)
    7. Ilaria Salis (The Left)
    8. Cecilia Strada (S&D)

Sostituti:

  1. Anna Maria Cisint (PfE)
    2. Giuseppe Milazzo (ECR)
    3. Leoluca Orlando (Greens)
    4. Gaetano Pedullà (The Left)
    5. Pina Picierno (S&D)
    6. Nicola Procaccini (ECR)
    7. Sandro Ruotolo (S&D)
    8. Marco Tarquinio (S&D)
    9. Roberto Vannacci (PfE)

“Gli italiani hanno ben presente l’importanza del tema e nei prossimi anni, l’immigrazione sarà un dossier cruciale sia per la destra che la sinistra. Con un’UE che deve affrontare l’invecchiamento della popolazione, poca sostenibilità e conseguente collasso dei sistemi pensionistici avremo sempre più bisogno di persone che entrano regolarmente in Europa – sostiene lo stesso Molinari – È documentato il fatto che più riusciamo ad avere persone che entrano regolarmente, che hanno un posto di lavoro e dove vivere, meno c’è l’associazione tra immigrazione, insicurezza e criminalità”.

Alla Commissione spetta ora coordinare il lavoro collettivo per l’attuazione delle norme concordate. Entro la fine del 2024 i paesi dell’UE dovranno infatti elaborare i loro piani di attuazione nazionali in cui presenteranno misure concrete e spiegheranno in che modo metteranno in pratica la legislazione che rispetti il diritto dell’UE e gli obblighi giuridici internazionali. Al fine di garantire un approccio coerente dei piani nazionali, la Commissione elaborerà la propria strategia europea quinquennale e ogni tre anni presenterà una revisione delle “soglie di solidarietà”.