di Vico Genovesi
È quasi impossibile per chiunque viva in Europa non essere a conoscenza delle proteste che hanno stravolto la Catalogna e la Spagna in generale nelle ultime settimane. L’arresto del rapper Pablo Hasel, reo di aver attaccato violentemente la Corona e il governo centrale tramite le sue canzoni e Twitter, ha causato una forte reazione dell’opinione pubblica, e ha risollevato i sopiti sentimenti indipendentisti della regione. Barcellona in particolare è stata teatro di aspri scontri tra polizia e civili, e le immagini delle proteste e delle manifestazioni sono apparse su molti dei telegiornali nostrani ed europei. Ma come viene vissuta realmente questa crisi? Quali sono le conseguenze reali per chi ci abita, e come viene percepita la questione catalana? Lo abbiamo chiesto ad alcuni giovani che la vivono in prima persona.
“La violenza non è mai la soluzione” ci dice Ariadna, studentessa catalana di un pueblo, l’equivalente di un piccolo comune, vicino a Barcellona. La sua vita non è cambiata drasticamente, dato che vivere fuori dal centro della città significa non avere esperienze dirette con le manifestazioni, ma la situazione generale la spaventa. “Mi sembra di essere sull’orlo di una nuova guerra civile, delle vittime durante gli scontri potrebbero farci precipitare nel caos. Ovviamente potrebbe anche non succedere nulla, potremmo scordarci di tutto questo in qualche mese, ma mi sembra che queste situazioni si presentino in maniera sempre più frequente, e che tutto ciò accadrà di nuovo in un futuro prossimo. La gestione del governo centrale, anche della pandemia, è stata disastrosa, ed ha fornito un pretesto perfetto per le rivendicazioni degli indipendentisti. Spero che la situazione possa tranquillizzarsi in futuro ovviamente, ma temo davvero che non si possa risolvere pacificamente, ed è anche per questo che sto cercando di andarmene da Barcellona l’anno prossimo”. Alla domanda su quale sia la sua visione sull’indipendentismo della Catalogna, la risposta è chiara: “Sono assolutamente contraria, le argomentazioni a favore mi sembrano sterili. Gli indipendentisti ci dicono che i politici spagnoli sono corrotti, il che può anche essere vero, ma vale anche per i politici catalani. Penso che l’unione faccia la forza in tutti i casi, e più che una Catalogna indipendente sogno gli Stati Uniti d’Europa”.
La situazione però ci viene descritta differentemente da chi vive all’interno della città. Marco, un italiano trasferito a Barcellona da due anni, è meno drastico, ma più amareggiato sulle conseguenze. “Io sono sempre stato lontano dalle proteste, anche perché non ho intenzione di prendermi manganellate per una causa non mia. Onestamente, le proteste non hanno cambiato più di tanto il mio stile di vita, dato che quasi tutte le manifestazioni hanno luogo dopo il coprifuoco, quando sono già a casa. Però ovviamente non è bello vedere vetrine spaccate e negozi presi di mira”. Anche la sua percezione delle proteste e dei motivi scatenanti non è positiva. “Io sono per la libertà di espressione, anzi mi fa piacere che il popolo abbia una sua voce e non abbia paura di esprimere le sue idee. Però pensare che tutto questo sia iniziato per l’arresto di un rapper, per quanto possa essere ingiusto, è abbastanza assurdo, soprattutto durante una pandemia. E poi c’è differenza tra protestare ed essere un delinquente”. Sul futuro però, Marco non ha dubbi: “La situazione non si risolverà fino a che la Catalogna non sarà indipendente. Sono anni che va così, ogni tanto si ripresentano scontri e violenze di questo genere. E quella è l’unica soluzione per evitarli”.
Su questo concorda anche Blai, un indipendentista convinto che vive all’interno della città. “Sicuramente una Catalogna libera ed indipendente cambierebbe tutto. I catalani sono molto più avanti degli spagnoli, sia sul quadro politico che per quanto riguarda le posizioni progressiste, e penso che i nostri politici abbiano avuto un unico caso di corruzione, rispetto ai molteplici casi del governo centrale. Penso che se fossimo liberi e indipendenti un arresto ingiusto come quello di Pablo Hasel non sarebbe mai avvenuto.” Anche la sua vita quotidiana non è cambiata eccessivamente, ma sull’origine delle proteste violente ha un’opinione chiara. “I catalani sono pacifici, ed infatti le prime proteste erano assolutamente non violente. Poi gruppi più radicali, anche neo-nazisti, sono riusciti ad infiltrarsi nei movimenti di protesta con il solo fine di creare disordini. Hanno intossicato gli ideali della protesta catalana, e da lì sono iniziati gli scontri e i danni a negozi e monumenti. Chiaramente a me dispiace molto di vedere la città così. Però va detto anche che i media dipingono solo la faccia violenta delle manifestazioni, mentre non fanno mai menzione dei crimini del governo centrale e degli arresti ingiustificati, di cui Hasel è solo l’ultimo caso”. Anche il Covid ha contribuito. “Sicuramente la cattiva gestione del governo di Madrid ha fatto infuriare ancora di più le persone. La differenza di restrizioni tra Barcellona e Madrid stessa è insensata”. Blai però non è totalmente a favore delle proteste, soprattutto non in questo modo. “Per me la priorità è che Hasel esca dal carcere. Non credo che queste proteste cambieranno molto, ma attendo una risposta dal governo centrale. La Spagna è sotto gli occhi di tutta Europa, ma il governo centrale è troppo retrogrado per cambiare.”
Terra di contraddizioni, la Catalogna, e la sua capitale Barcellona, in particolare, è stata teatro della guerra civile, portandosi addosso gli strascichi di un passato con cui la Spagna tutta non è ancora riuscita a fare i conti. L’aspra contrapposizione tra schieramenti indipendentisti e spagnoli ha generato violenza soprattutto negli ultimi anni, senza dare l’impressione che la situazione si possa risolvere nel futuro prossimo. La speranza comune a tutti gli intervistati è che si riesca a trovare una via pacifica per far convivere le tante anime di questa regione, trovando una mediazione ai conflitti. Certo è che una mancata soluzione alla crisi catalana sarebbe una sconfitta per tutta l’Europa.