In questa calda estate 2024, la politica non si è fermata. In Italia si è riaccesa una discussione che ha reso instabile la collaborazione della maggioranza al governo: la concessione della cittadinanza a chi non nasce in Italia. Questa volta, dopo le polemiche sul caso della pallavolista e campionessa olimpica Paola Egonu, è stato il ministro degli esteri Antonio Tajani ad animare il dibattito. Discostandosi dall’orientamento della coalizione si è detto favorevole all’Introduzione dello Ius Scholae chiarendo in definitiva la posizione di Forza Italia sul tema.
“Guai se abbiamo paura di concedere diritti meritati: saremmo un centrodestra oscurantista che non si rende conto dei cambiamenti della società […] Il diritto a diventare cittadino italiano grazie alla formazione e allo studio è sacrosanto. Chi si è conquistato il diritto di essere italiano meriti di esserlo, non conta il colore della pelle”.
Le norme per la cittadinanza attualmente in vigore in Italia infatti sono regolate dalla legge n.91 del 1992 attraverso lo Ius Sanguinis che stabilisce come una persona possa ottenere la cittadinanza italiana solo per discendenza o filiazione oppure, nel caso in cui non sia possibile rinvenire una parentela di alcun tipo, al compimento del diciottesimo anno di età per minori proveniente da Paesi terzi o nati in Italia da genitori stranieri e per gli adulti che hanno trascorso ininterrottamente dieci anni sul suolo nazionale. A prima vista sembra che la cittadinanza, dunque, si possa raggiungere con facilità, ma spesso questi procedimenti sono costosi e molto lunghi. La legge 91/1992 stabilisce una tempistica massima a disposizione della Pubbliche Amministrazioni per la valutazione della tua domanda di cittadinanza. Tale tempistica è di 24 mesi (2 anni), prorogabili di ulteriori 12 mesi (3 anni) per esigenze motivate di istruttoria.
Tornare a parlare di Ius Scholae, al contrario, significherebbe riprendere una riforma di legge presentata nel 2018 ma bloccata a seguito del cambio di governo nel 2022 che permetterebbe di ottenere la cittadinanza italiana dopo la fine dello svolgimento di un ciclo di studi agevolando milioni di minori stranieri nell’ottenimento della cittadinanza alla fine della cosiddetta “scuola dell’obbligo”, ovvero a 16 anni. Simile è l’approccio dettato dallo Ius Culturae proposto e approvato alla camera nel 2015 ma bloccato dal Senato nel 2017 che prevede l’ottenimento della cittadinanza ai minori stranieri di 12 anni nati o arrivati in Italia che abbiano “frequentato regolarmente per almeno cinque anni uno o più cicli presso istituti scolastici del sistema nazionale, o percorsi di istruzione e formazione professionale triennali o quadriennali, conclusi con la promozione”. Quest’ultima specifica rappresenta il sottile discrimine tra le tue proposte.
I partiti dell’opposizione confidano invece nell’ampliamento dello Ius Soli, cioè l’ottenimento della cittadinanza al momento della nascita. In Italia questo avviene solo in casi particolari.
Per uno sguardo d’insieme
Quello del riconoscimento della cittadinanza a soggetti stranieri è un argomento ampiamente discusso in Europa anche se in questo quadro la legislazione UE non può intervenire. L’ultimo regolamento in materia (2019/1157) del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 giugno 2019 sul rafforzamento della sicurezza delle carte d’identità dei cittadini dell’Unione e dei titoli di soggiorno rilasciati ai cittadini dell’Unione e ai loro familiari che esercitano il diritto di libera circolazione, determina che secondo la norma della direttiva 2004/38/CE, gli Stati membri rilasciano o rinnovano ai loro cittadini una carta d’identità o un passaporto esclusivamente ai sensi della legislazione nazionale. Pertanto, gli Stati europei hanno adottato prassi anche molto diverse le une dalle altre.
Secondo il Global RCG , l’Italia è al dodicesimo posto nella classifica dei paesi dove è più facile ottenere la cittadinanza. Al primo posto il Portogallo dove sono richieste conoscenze linguistiche di base e almeno cinque anni di residenza in Portogallo. Segue l’Irlanda che è un caso all’avanguardia rispetto agli altri stati europei poichè gode di uno status unico: è l’unica nazione a riconoscere la possibilità ai suoi abitanti di vivere e lavorare liberamente sia nel Regno Unito che nell’UE. Chiunque sia nato in Irlanda del Nord da genitori britannici o irlandesi ha diritto sia al passaporto britannico che a quello irlandese, il che gli consente di richiedere automaticamente la cittadinanza europea. A chiudere il podio è la Svezia con una delle norme più permissive d’Europa: nessun requisito linguistico per i nuovi svedesi e con un periodo di residenza di soli cinque anni. Questo periodo può essere ulteriormente ridotto a soli tre anni per chi è sposato o convive con un coniuge svedese da almeno due anni.