Governo Conte-bis: poteri speciali per lo sviluppo del 5G in italia
Nel corso della sua prima riunione, il Consiglio dei ministri del governo Conte-bis ha annunciato l’utilizzo del golden power su alcune notifiche presentate dalle principali aziende di telecomunicazioni operanti in Italia per la realizzazione delle infrastrutture 5G nel paese con imprese partner extra-europee. Una vera e propria corsa contro il tempo, quella del nuovo governo, per poter garantire all’esecutivo l’esercizio dei poteri speciali su diversi atti e operazioni societarie stipulate da Tim, Vodafone, Fastweb, Wind, Tre, e Linkem con le i colossi cinesi Huawei e ZTE. A causa della mancata conversione in legge, il 9 settembre sarebbe infatti decaduto il decreto sulla riforma del Golden Power, approvato a luglio e pensato per rafforzare l’azione governativa per la tutela della sicurezza nazionale in ambiti strategici quali energia, trasporti e telecomunicazioni.
Una decisione, quella del Cdm, dettata dunque da una urgenza amministrativa più che da una reale scelta strategica ma che potrebbe anche segnalare una possibile inversione di rotta – da parte del nuovo esecutivo – rispetto all’apertura nei confronti di Pechino iniziata dal governo M5S-Lega. Dopo la firma del Memorandum d’intesa tra Italia e Cina, che aveva suscitato perplessità e critiche di numerosi osservatori internazionali, la recente scelta del Cdm potrebbe contribuire a riportare l’Italia in linea con le più caute posizioni europee in merito ai rapporti con la Cina e al contempo a rassicurare gli Stati Uniti.
La scontro Usa-Cina nella corsa al 5G
La corsa allo sviluppo della rete 5G è da tempo uno dei principali campi di battaglia tra Washington e Pechino. Uno scontro, quello per il primato nello sviluppo della futura rete di telecomunicazioni, in cui interessi economici e questioni di sicurezza concorrono a rendere la sfida sempre più accesa. A destare le preoccupazioni degli Stati Uniti non è infatti solo la perdita di competitività delle proprie imprese ma anche le implicazioni che l’utilizzo di componenti cinesi comporterebbe in termini di sicurezza nazionale. Le grandi aziende tecnologiche cinesi sono infatti da lungo tempo accusate di contribuire attivamente alle attività di spionaggio dei servizi di intelligence cinesi. Nonostante questi timori siano senza dubbio legittimi, Trump ha fortemente strumentalizzato la questione con l’intento di promuovere le imprese statunitensi. Ad agosto dello scorso anno, il presidente americano aveva escluso la partecipazione di Huawei e ZTE alla realizzazione della rete 5G americana. Nei mesi successivi Australia, Nuova Zelanda e Giappone avevano deciso di unirsi alla linea di Trump escludendo a loro volta le compagnie cinesi.
L’Europa condivide i timori degli Stati Uniti riguardo i problemi di sicurezza connessi alle compagnie cinesi, ma l’idea di approvare restrizioni che discriminino aziende specifiche non rappresenta al momento una via percorribile. L’approccio europeo in questo senso sembra essere più razionale: in un settore come quello delle telecomunicazioni, basato su enormi catene del valore transnazionali, pensare di escludere totalmente un attore rilevante come la Cina, oltre ad essere estremamente difficile, non risolve il problema. L’Europa è alla ricerca di una propria soluzione per poter gestire la necessità di modernizzare la propria infrastruttura tecnologica garantendone al contempo la sicurezza.
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