Come i pantaloni a zampa d’elefante e gli zoccoli neri da indossare sotto i jeans di velluto blu a coste, torna anche la moda del proporzionale. Solo che il modo di vestirsi non ha mai impoverito uno Stato, semmai svuotato il bilancio famigliare. Invece, il sistema elettorale della grande spartizione del dopoguerra è alla base dell’impennata del debito pubblico, ha prodotto una sessantina di governi spesso quadri o pentapartitici e ha contrassegnato l’utilizzo della spesa pubblica come strumento di governo. Cassa del Mezzogiorno, baby pensioni, indennità e sprechi di ogni genere hanno alimentato dalla fine del boom economico degli anni sessanta ai primi anni novanta la Bestia del debito pubblico, alimentando divari sociali e a prescindere se a Palazzo Chigi ci fosse un democristiano, un socialista o un repubblicano.
Suscita quindi grande perplessità non tanto la voglia degli attuali partiti di tornare giustamente al voto, quanto un’operazione di sciagurata rimozione collettiva dei mali della nostra spesa pubblica, arrivata a pesare il 133% del Pil in un’epoca peraltro di tassi zero. Sicuri che si voglia imboccare questa strada suicida, dove un eventuale governo di grande coalizione tra il Pd di Matteo Renzi e Forza Italia di Silvio Berlusconi, magari con l’appoggio di Lega e Cinquestelle, poco potrà fare per mettere mano al taglio del debito, dovendo rispondere ciascuno alle istanze del proprio elettorato? L’Europa e la Germania staranno a guardare in silenzio? L’Italia è nell’euro grazie alla solenne promessa che Carlo Azeglio Ciampi fece al ministro delle Finanze tedesco Theo Waigel: Roma scenderà sotto il 100% del rapporto debito-Pil (Maastricht prevede il 60%). Ci riuscirono per pochi anni, giusto in tempo per entrare nell’Unione monetaria.
Il ritorno al passato non conviene a nessuno, soprattutto a chi avrà incarichi di governo e dovrà trattare il rispetto del Fiscal Compact con chi fu il principale consigliere di Waigel: Wolfgang Schauble.
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