di Paolo Giannelli

 

La Central Mediterranean Route (CMR) è la via più battuta dai migranti che aspirano a raggiungere
l’Europa attraverso il Mar Mediterraneo. Sebbene non ci sia un dato univoco, gli individui qui
giunti attraverso la rotta mediterranea (che comprende sia la CMR che la rotta mediterranea
orientale) nel 2016-2017 ammontano a 546.470 (UNHCR 2017). Nel 2017 l’UNHCR stimava nel
mondo 65.3 milioni tra migranti e rifugiati, l’86 per cento dei quali ospitato dai così detti paesi in
via di sviluppo, in particolar modo Turchia, Libano, Pakistan e Giordania.
L’analisi dei flussi evidenzia un decremento degli sbarchi attraverso la rotta mediterranea orientale
a partire dal 2016. Questo grazie all’accordo siglato tra Unione Europea e Turchia nel marzo dello
stesso anno che impegna quest’ultima a limitare i flussi migratori verso la Grecia, in cambio di un
aiuto finanziario di 3 miliardi di euro. L’accordo con Erdogan, sebbene continui a suscitare numerosi interrogativi per quanto concerne il rispetto dei diritti umani dei rifugiati (in massima parte siriani), ha di fatto ridotto in maniera drastica gli arrivi sul suolo greco. Al contrario, l’instabilità in Libia a seguito dell’intervento militare del 2011 e del susseguirsi di due guerre civili ha reso l’ex colonia italiana il principale porto di partenza dei migranti in fuga dall’Africa. L’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM), a marzo 2018, aveva infatti identificato la presenza sul suolo libico di 662.248 migranti, il 97 per cento dei quali provenienti dall’Africa ed il 3 per cento da Medio Oriente e Asia (OIM 2018). Ciononostante, parlare di invasione, come è spesso stato fatto da media e politici europei, è errato. I numeri suggeriscono infatti che i migranti giunti in Europa dal 2015 al 2017 rappresentano una
percentuale ben al di sotto dell’1 per cento su una popolazione europea di 740 milioni di persone
(UNHCR 2017). Mentre gli Stati si barricano su posizione oltranziste di lotta all’immigrazione, che misure sta intraprendendo l’Unione Europea per affrontare il fenomeno migratorio lungo la rotta del
Mediterraneo centrale? Possiamo dividere gli interventi dell’UE in due macro categorie:

1) Misure di breve periodo volte ad affrontare i flussi migratori dalla Libia.
2) Misure di lungo periodo volte a mitigare le cause della migrazione dall’Africa.
Il primo insieme di azioni, che comprende le missioni European Border Assistance for Libya
(EUBAM-Libya) e l’Operazione Sophia, ha come fine quello di rafforzare il controllo delle frontiere marittime europee, delegando il contenimento dei flussi migratori alle negligenti autorità libiche in cambio di scarsi aiuti finanziari.

Il secondo insieme, che include strumenti quali il Trust Fund for Africa o il Fondo Europeo per lo
Sviluppo Sostenibile, rappresenta in linea di principio qualcosa di nobile ma nei fatti inadeguato a
raggiungere il fine annunciato, ovvero ridurre l’arretratezza del continente africano.
Per quanto concerne le misure di breve periodo, appare evidente la mancanza di un meccanismo
europeo di coordinamento per l’accoglienza dei migranti che superi il regolamento di Dublino. Al
momento non vi sono iniziative volte a creare corridoi umanitari verso l’UE, unico modo per poter
aver un controllo effettivo dei flussi e combattere seriamente il traffico dei migranti, nel pieno
rispetto dei diritti umani.
La bocciatura da parte del Consiglio nel giugno 2018 della proposta di riforma del regolamento
avanzata dal Parlamento Europeo evidenzia la totale incapacità dei governi europei di concertarsi
sull’accoglienza ai migranti e sulla loro equa ripartizione all’interno di tutti gli Stati membri.
In questo senso, la visione egoistica degli Stati sopravanza una più lungimirante visione
solidaristica di accoglienza che abbia come obiettivo un vero e regolamentato controllo dei flussi
migratori.
Vi è inoltre la mancanza di un responsabile UE per l’immigrazione: una figura che sia a capo del
coordinamento di tutti gli organi europei che si occupano di tale materia e che delinei obiettivi e
priorità in modo chiaro ed univoco. Attualmente sono infatti numerose le agenzie ed enti che si
occupano di migrazione.
Le missioni UE si scontrano poi con le iniziative degli Stati membri, che appaiono riluttanti a
cedere sovranità agli organi comunitari in materia di sicurezza e controllo dei confini.
Fin quando ciò non cambierà, le politiche europee sono destinate a risultare inadeguate ad
affrontare efficacemente i flussi dai paesi limitrofi.