Giovedì 14 dicembre con 180 voti a favore, 71 contrari e 6 astenuti, il testamento biologico diventa legge dello Stato, tra applausi e lacrime di commozione. Nella tribuna ospiti di Palazzo Madama, osservatorio privilegiato del Paese, delle sue aspirazioni, delle sue contraddizioni, spiccano due figure, crocevia della storia sociale, politica e morale della Repubblica: Emma Bonino e Mina Welby. Soddisfatto anche Beppino Englaro, protagonista di una lunga battaglia legale in nome della figlia Eluana, in stato vegetativo per 17 anni: “Non dovrà esserci mai più una tragedia nella tragedia come quella di Eluana: questo è un giorno importante per i diritti e le libertà di tutti, una svolta di civiltà del nostro Paese”. Già, perché la delibera del Senato, ben lungi dall’essere mero esercizio procedurale, è l’approdo di un processo di maturazione e di ridefinizione civile di un’Italia che, a prescindere da giudizi di merito, ha saputo, e, in definitiva, voluto esprimersi su temi apparentemente confinati ai drammi e ai problemi del privato cittadino. Esprimersi per non lasciare zone d’ombra. Esprimersi per affermare la centralità del diritto a scapito della consuetudine e dell’omertà. Esprimersi per completare un processo avviato dal varo della Costituzione, secondo la quale tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge senza distinzione alcuna e proseguito con l’approvazione parlamentare e popolare del divorzio e dell’aborto. Temi dolorosi, certo divisivi, rispetto ai quali, però, al netto di perplessità e di remore, il Paese e le sue istituzioni hanno avuto il coraggio di formulare una risposta organica e rispettosa di quello che è l’unico imperativo categorico di un qualsivoglia stato liberale: il diritto all’autodeterminazione.
A favore del biotestamento, hanno votato il Partito Democratico, il Movimento 5 Stelle, MDP, Sinistra Italiana-Possibile, mentre alcuni senatori cattolici e gran parte del centro-destra hanno votato contro: Forza Italia (che, però, ha lasciato libertà di coscienza ai propri senatori), Lega Nord e Alternativa Popolare. La norma consta di otto articoli che toccano i temi legati al fine vita e considera elemento fondamentale la libertà di scegliere – entro alcuni limiti – se acconsentire o meno a ricevere i trattamenti sanitari: in particolare, permette a qualsiasi maggiorenne di decidere se accettare o rifiutare le scelte diagnostiche o terapeutiche e singoli trattamenti sanitari, inclusi nutrizione e idratazione artificiali. L’interruzione delle cure può essere demandata dall’interessato ad un terzo o ottenuta con le cosiddette “disposizioni anticipate di trattamento” (DAT), un documento che dichiara a quali terapie si vuole rinunciare, qualora si fosse impossibilitati a esprimere la propria scelta. La legge prevede anche la nomina di un fiduciario che rappresenti il paziente e ne faccia le veci nella relazione con i medici, tenuti, dunque, a rispettare le disposizioni anticipate. Il paziente può, inoltre, chiedere di essere sedato in maniera continua e profonda, in modo da ridurre le sofferenze connesse allo stato terminale e da scivolare in una sorta di coma indotto.
L’approvazione del provvedimento segna una conquista importante, auspicata da anni in Italia, e insieme un progressivo avvicinamento alle dinamiche sociali e costituzionali europee, tese a valorizzare la centralità del malato e i suoi diritti.