Riceviamo da Pier Virgilio Dastoli, presidente del Movimento Europeo Italia, e volentieri pubblichiamo
Con l’avvio del semestre di presidenza francese del Consiglio dell’Unione europea il 1° gennaio 2022 fino al 30 giugno 2022, le istituzioni europee e quelle nazionali si apprestano ad affrontare alcune questioni essenziali per il proseguimento dello sviluppo dell’integrazione europea.
La soluzione di queste questioni sarà affidata in parte al potere di iniziativa – quasi esclusivo – della Commissione europea, in parte all’accordo fra il Parlamento europeo e il Consiglio dell’Unione europea nel cui seno la capacità di mediazione è affidata all’abilità diplomatica di chi gestisce la presidenza più che all’autorevolezza del governo che ne ha la responsabilità (nella storia delle presidenze semestrali i maggiori risultati sono stati spesso raggiunti da governi di paesi medio-piccoli piuttosto che dai grandi paesi, n.d.r.), in parte agli orientamenti che emergeranno nel Consiglio europeo – che condivide o meglio compete con la Commissione nel settore delle relazioni internazionali – la cui presidenza non spetta alla Francia ma al belga Charles Michel e in parte agli incontri collaterali di politica internazionale come i vertici della NATO e dell’OSCE o all’azione degli altri attori mondiali (USA, Russia e Cina in primo luogo) o ad eventi inattesi come sono stati negli ultimi due anni lo scoppio della pandemia o la fuga precipitosa dell’Occidente da Kabul o l’aggravarsi delle tensioni ai confini orientali dell’Unione europea.
Nella vita economica e finanziaria dell’Unione europea avrà infine una certa influenza la politica della BCE anche come risposta alla crescita dell’inflazione nel quadro dell’attività delle organizzazioni internazionali o delle altre banche centrali come la Federal Reserve.
Per chi conosce dall’interno il funzionamento delle istituzioni europee, la consistente riduzione del ruolo della presidenza semestrale del Consiglio dell’Unione europea a vantaggio del Consiglio europeo, la preminenza degli Stati nelle relazioni internazionali e nelle politica estera e della sicurezza ivi compresa la difesa, la competenza esclusiva della Commissione nella politica commerciale e nella concorrenza e della BCE nella politica monetaria, il rilievo mantenuto nel Trattato di Lisbona alle competenze cosiddette di sostegno nella politica industriale e della cultura in cui i poteri di azione sono rimasti intergovernativi per non parlare della dimensione democratica e del rispetto dello stato di diritto, appare stupefacente il gap fra il desiderio di grandeur che traspare dal programma della presidenza francese e la parte assolutamente marginale che svolgerà Parigi durante i sei mesi di presidenza.
Nonostante il volontarismo del Presidente Macron – preannunciato nella Conferenza stampa di dicembre, reiterato nell’incontro dell’Epifania con la Commissione europea al Palazzo dell’Eliseo e certamente più marcato quando parlerà davanti al Parlamento europeo il 18 gennaio – sarà difficile immaginare che in sei mesi potranno essere raggiunti risultati concreti e definitivi sui dossier più sensibili in cui le posizioni dei paesi membri sono più distanti come la riforma del Patto di Stabilità (e crescita) che – in assenza di una sua modifica – tornerà operativo il 1° gennaio 2023, l’introduzione di nuove risorse proprie sulla base delle proposte presentate dalla Commissione europea il 22 dicembre 2021, il completamento dell’Unione bancaria e del mercato dei capitali, la definizione concreta dell’autonomia strategica dell’Unione europea nella sua dimensione geopolitica.
Se si scorre la lista degli avvenimenti che avranno luogo durante il semestre di presidenza francese, lo spazio maggiore sarà dato alle riunioni informali interministeriali o a Forum di dibattito, certo importanti per il coinvolgimento della società civile e dei portatori di interesse ma con scarso rilievo per i momenti istituzionali e deliberativi (v. il programma completo della presidenza).
Le elezioni presidenziali del 10 e del 24 aprile e poi le elezioni legislative del 12 e del 19 giugno, che coinvolgeranno una parte importante del governo e della classe politica francese, potrebbero pesare negativamente sulla gestione della presidenza semestrale del Consiglio dell’Unione europea se si tiene conto del fatto che – su richiesta di Parigi – è stato fatto slittare di almeno sei mesi il negoziato sul Migration Compact per sottrarre alla destra un tema conflittuale o del grottesco episodio della bandiera europea a dodici stelle esibita per qualche ora sotto l’Arco di Trionfo al posto del tricolore e frettolosamente fatta sparire dopo le polemiche della destra nazionalista.
È improbabile che si potranno raggiungere risultati concreti sull’idea francese di un grande piano europeo di investimenti industriali che richiederebbero risorse finanziarie europee che per ora non ci sono e che non sono prevedibili a breve-medio termine e, soprattutto, se questo piano fosse legato al tema controverso della tassonomia e della politica energetica su cui è stato gettato nello stagno dalla Commissione europea il sasso del gas naturale e del nucleare con una frettolosa consultazione che scade il 12 giugno e il macigno del commissario Thierry Breton che ritiene necessari 50 miliardi di investimenti entro il 2030 e 500 miliardi entro il 2050 per il nucleare.
Si potrebbero forse raggiungere risultati sulla proposta di direttiva legata al salario minimo solo se saranno superate, con un compromesso fondato su un modello di integrazione differenziata, le resistenze dei paesi dell’Europa del Nord e i dissensi all’interno della Confederazione europea dei sindacati e potrebbero essere fatti passi in avanti sulla riforma del funzionamento delle regole di Schengen con il rischio di rafforzare la protezione alle frontiere esterne dell’Unione europea senza migliorare tutti gli aspetti della mobilità fra i paesi membri e dunque rafforzare la cittadinanza europea.
Come sappiamo, al centro dell’attenzione e dell’interesse di Emmanuel Macron ci sarà invece la conclusione della Conferenza sul futuro dell’Europa se la data del 9 maggio 2022 sarà mantenuta dalle istituzioni europee e dai governi nazionali dopo i panel dei cittadini, le sessioni plenarie, i gruppi di lavoro e gli orientamenti emersi dalla piattaforma digitale e dagli eventi promossi a livello nazionale o transnazionale.
Se Emmanuel Macron vorrà lasciare il segno nelle storia dell’integrazione europea, in coerenza con quello che affermò nel discorso alla Sorbona nel settembre 2018, poi nella lettera alle cittadine e ai cittadini europei il 4 marzo 2019 ed infine nella sua convinzione della necessità di una “Europa sovrana” al di là dunque e al di sopra delle sovranità nazionali, dagli orientamenti della Conferenza dovranno emergere gli elementi essenziali del progetto di unità europea immaginata per fare del continente un modello dì democrazia, di giustizia e di cooperazione pacifica nel mondo, di un metodo inclusivo per realizzarlo e di un’agenda al passo con le sfide del ventunesimo secolo.
Il rafforzamento di una vera democrazia europea, in questo spirito, dovrà passare attraverso gli elementi essenziali della partecipazione e della rappresentatività all’interno di un cantiere del futuro dell’Europa in cui le esigenze espresse nella Conferenza si traducano in un modello costituzionale multilivello dove il governo della res-publica venga assicurato secondo il principio dinamico della sussidiarietà che è al centro di ogni sistema federale.
Per giungere a questo risultato, la via da percorrere non può passare attraverso un negoziato in cui prevalga la difesa di apparenti interessi nazionali ma in cui si raggiunga un compromesso fra le culture politiche che sono al centro delle nostre democrazie: il popolarismo cristiano nella sua dimensione universalista, il socialismo nella sua dimensione internazionalista, il liberalismo nella sua dimensione cosmopolita a cui si è aggiunta dalla fine degli anni ottanta la cultura ambientalista.
Il solo spazio pubblico in cui agiscono e si incontrano queste culture è il Parlamento europeo che dovrà preparare il terreno per un dibattito ampio e trasparente in vista delle elezioni europee nel maggio 2024 a cui dovrà seguire la fase costituente per completare il processo di integrazione europea. Così facendo la Francia sarà stata determinante per il futuro dell’Europa.