La guerra dei vaccini è iniziata e tutto il mondo se n’è accorto. È una guerra sporca, e non riguarda solo gli europei. Si combatte tanto all’interno dei singoli Paesi, quando certe categorie pretendono di “tagliare la fila”, quanto nelle sedi delle istituzioni diplomatiche europee e mondiali.
A giugno scorso la situazione prospettata era ben diversa. La produzione dei vaccini era guardata come una grandiosa nuova alba dopo una tremenda notte, e soprattutto le istituzioni intergovernative si preparavano ad affrontare anche le difficoltà dei Paesi più deboli. Nasceva su queste premesse CoVax, il programma mondiale di acquisto e distribuzione dei vaccini nelle aree più svantaggiate. Gli Stati partecipanti al programma sono in tutto 190, e l’UE è stata sin da subito una delle grandi protagoniste di questo “pool” di enti pubblici e privati. Riuscendo apparentemente a superare gli egoismi degli Stati membri, la Commissione aveva contribuito a stanziare già mezzo miliardo di euro per il programma. Al miliardo tondo si è arrivati a febbraio, portando così il “Team Europe” a 2,2 miliardi di euro stanziati. L’obiettivo dichiarato dell’Unione è quello di arrivare a esportare 1,3 miliardi di dosi nel resto del mondo.
A Covax, manco a dirlo, non partecipavano gli Stati Uniti del Presidente Donald Trump. Ma il principio isolazionista dell’America First ha avuto vita breve con la nuova presidenza, e con Biden in poco più di un mese dall’insediamento si è arrivati a uno stanziamento da 4 miliardi. Rimane tuttavia ancora poco chiaro l’impegno assunto dagli Stati Uniti nella realizzazione di questo progetto. Quel che conta, al momento, per una volta non è il semplice denaro, ma quasi letteralmente “l’oro”: il vaccino. E le scorte di dosi prodotte da Moderna, Pfizer e AstraZeneca sono andate per grandissima parte a Paesi ricchissimi, e gli esempi positivi nell’ambito di “potenza vaccinale” sono non a caso USA, Canada, Regno Unito e Israele.
Covax per ora ha redistribuito ben poco di questa ricchezza, e i Paesi beneficiari del programma mondiale hanno ricevuto solo 32 milioni di dosi. Il Paese ad averne ricevuti di più è la Nigeria, con 3,9 milioni di dosi ricevute e quasi altri 10 milioni di dosi in arrivo, per una popolazione di 206 milioni di persone. Allo stesso tempo, chi doveva aiutare a produrre e esportare, come l’India, pare essere poco efficiente nel contribuire a Covax.
Le tempistiche inoltre sono particolarmente beffarde: nel momento in cui a fine febbraio Biden stanziava cifre record, gli Stati Uniti avevano già vaccinato il 20% della popolazione, mentre gran parte dei Paesi beneficiare dovevano ancora somministrare la prima dose.
Come se non bastasse, i disastri emersi nei mesi riguardanti la solidità degli accordi presi dall’Unione Europea con AstraZeneca sono arrivati margine di una contrattazione evidentemente poco fruttuosa e che, neanche troppo indirettamente, ha portato a un ritardo non indifferente nel raggiungimento dell’immunità di gregge all’interno dei confini dell’Unione. Un ritardo che vuol dire, poi, decine di migliaia di morti.
È in questo contesto già decisamente poco pacifico di per sé che si è collocato il “rinvenimento” ad Anagni di 29 milioni di dosi di vaccini prodotti da AstraZeneca. Complice un sistema mediatico che ha versato benzina sul fuoco, la presenza sul territorio nazionale di milioni di vaccini non destinati ad immunizzare italiane ed italiani è stata presa male dall’opinione pubblica. Anche per evitare ulteriori controversie (come l’ipotesi che le dosi fossero destinate al Regno Unito), sono bastate poche parole di Ursula Von Der Leyen a chiudere il caso: è tutto parte della filiera produttiva e logistica delle dosi destinate a Covax.
E tuttavia ciò non è bastato a spegnere le polemiche. Che l’Unione Europea stesse arrancando più di quanto non fosse giustificabile agli occhi dei cittadini era chiaro. Ma questi ritardi non riguardano solo i cittadini europei: se il ruolo dell’UE in Covax è quello di leader e protagonista indiscusso, l’intero programma non può che soffrire delle mancanze europee. I rischi di un’immunità mancata in ampie zone del globo sono evidenti, e il Covid-19 è un incubo da mettersi alle spalle il più velocemente possibile, imparando da tutti gli errori e dall’impreparazione palese di gran parte degli Stati membri. E l’immunità al livello mondiale pare essere ancora molto, molto lontana.