Brutta notizia per l’Italia. Il regolamento Dublino III, il quale attribuisce allo Stato membro iniziale di ingresso nel territorio dell’Unione la competenza ad esaminare la domanda di protezione internazionale presentata dai migranti senza visto regolare, vale anche in situazione d’emergenza. Pertanto, uno Stato membro che abbia deciso di autorizzare, per motivi umanitari, l’ingresso nel suo territorio di un cittadino di un paese non UE privo di visto e non beneficiante di un’esenzione dal visto non può essere esonerato da tale responsabilità. È quanto ha stabilito la Corte Ue di Giustizia, dirimendo una querelle su questa materia tra Croazia e Slovenia ma che ovviamente, come ricordato anche da lanuovaeuropa.it, ha un valore generale, soprattutto per il nostro paese.
Ecco di seguito il testo della decisione di oggi destinata a far discutere e, forse, rendere ancora più difficile il ruolo dell’Italia.
Nel 2016, un cittadino siriano e i membri di due famiglie afghane, pur non disponendo di un visto appropriato, hanno varcato la frontiera tra la Croazia e la Serbia. Le autorità croate hanno organizzato il trasporto di tali persone fino alla frontiera croato slovena allo scopo di aiutarle a recarsi in altri Stati membri al fine di presentare in questi ultimi una domanda di protezione internazionale.
Il cittadino siriano ha poi presentato una domanda siffatta in Slovenia, mentre i membri delle famiglie afghane hanno fatto lo stesso in Austria. Tuttavia, tanto la Slovenia quanto l’Austria hanno ritenuto che, poiché i richiedenti erano entrati illegalmente in Croazia, ai sensi del regolamento Dublino III spettasse alle autorità di tale Stato membro esaminare le domande di protezione internazionale delle persone suddette.
Le persone interessate contestano in sede giudiziaria le decisioni rispettivamente adottate dalle autorità slovene e austriache, facendo valere che il loro ingresso in Croazia non può essere considerato irregolare e che, ai sensi del regolamento Dublino III, spetta dunque alle autorità slovene ed austriache esaminare le loro domande di protezione internazionale.
In tale contesto, il Vrhovno sodišče Republike Slovenije (Corte suprema della Repubblica di Slovenia) e il Verwaltungsgerichtshof Wien (Corte amministrativa suprema di Vienna, Austria) chiedono alla Corte di giustizia se l’ingresso delle persone di cui trattasi debba essere considerato regolare o no ai sensi del regolamento Dublino III. Inoltre, il giudice austriaco desidera sapere se il comportamento delle autorità croate equivalga al rilascio di un visto da parte di tale Stato membro.
Con le sue sentenze odierne, la Corte constata, anzitutto, che, ai sensi del regolamento Dublino III, un visto è «[una] autorizzazione o [una] decisione di uno Stato membro necessaria per il transito o per l’ingresso» nel territorio di tale Stato membro o di vari Stati membri. Di conseguenza, da un lato, la nozione di visto rinvia ad un atto formalmente adottato da un’amministrazione nazionale, e non ad una semplice tolleranza, e, dall’altro, il visto non si confonde con l’ammissione nel territorio di uno Stato membro, in quanto esso viene per l’appunto richiesto al fine di consentire tale ammissione.
Sulla scorta di tali circostanze, la Corte rileva che l’ammissione di un cittadino di un paese non UE nel territorio di uno Stato membro non può essere qualificata come visto, anche se tale ammissione si spiega con il sopravvenire di circostanze straordinarie caratterizzate da un afflusso massiccio di persone in arrivo nell’UE.
Inoltre, la Corte ritiene che l’attraversamento di una frontiera in violazione dei requisiti imposti dalla normativa applicabile nello Stato membro interessato debba necessariamente essere considerato «illegale» ai sensi del regolamento Dublino III.
Per quanto riguarda la facoltà che hanno gli Stati membri, in virtù del Codice frontiere Schengen , di autorizzare cittadini di paesi non UE che non soddisfano i requisiti di ingresso a recarsi nel loro territorio per motivi umanitari, la Corte ricorda che tale autorizzazione è valida soltanto per il territorio dello Stato membro interessato, e non per il territorio degli altri Stati membri.
Inoltre, ammettere che l’ingresso di un cittadino di un paese non UE autorizzato da uno Stato membro sulla base di ragioni umanitarie, in deroga ai requisiti di ingresso in linea di principio imposti a un cittadino siffatto, non costituisca un attraversamento irregolare della frontiera implicherebbe che tale Stato membro non sarebbe competente ad esaminare la domanda di protezione nazionale presentata da tale persona in un altro Stato membro. Orbene, una conclusione siffatta sarebbe incompatibile con il regolamento Dublino III, il quale attribuisce allo Stato membro iniziale di ingresso di tale persona nel territorio dell’Unione la competenza ad esaminare la domanda di protezione internazionale presentata da quest’ultima. Pertanto, uno Stato membro che abbia deciso di autorizzare, per motivi umanitari, l’ingresso nel suo territorio di un cittadino di un paese non UE privo di visto e non beneficiante di un’esenzione dal visto non può essere esonerato da tale responsabilità.
Ciò premesso, la Corte statuisce che la nozione di «attraversamento irregolare di una frontiera» abbraccia anche la situazione in cui uno Stato membro ammetta nel proprio territorio cittadini di un paese non UE invocando ragioni umanitarie e derogando ai requisiti di ingresso in linea di principio imposti ai cittadini di paesi non UE.
Inoltre, riferendosi ai meccanismi istituiti dal regolamento Dublino III, alla direttiva 2001/55 e all’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, la Corte constata che il fatto che l’attraversamento della frontiera abbia avuto luogo in occasione dell’arrivo di un numero eccezionalmente elevato di cittadini di paesi non UE intenzionati ad ottenere una protezione internazionale non è determinante.
La Corte sottolinea altresì che la presa in carico di tali cittadini di paesi non UE può essere facilitata dall’utilizzo da parte di altri Stati membri, in maniera unilaterale o concertata in uno spirito di solidarietà, della «clausola di sovranità» che consente loro di decidere di esaminare domande di protezione nazionale ad essi presentate, quand’anche tale esame non sia di loro spettanza in virtù dei criteri del regolamento Dublino III.
La Corte ricorda, infine, che il trasferimento di un richiedente protezione internazionale verso lo Stato membro competente non deve essere eseguito se, a seguito dell’arrivo di un numero eccezionalmente elevato di cittadini di paesi non UE intenzionati ad ottenere una protezione internazionale, esiste un rischio reale che l’interessato subisca trattamenti inumani o degradanti in caso di realizzazione di tale trasferimento.