di Rocco Gaeta
Giovani, espatriati, senza speranza. La spiegazione alla ricerca di Ilvo Diamanti sui ragazzi che lasciano l’Italia perché due su tre sanno che non vi faranno mai carriera la da’ la stessa Commissione Europea. Il nostro è il paese dove il numero di lavoratori autonomi è fra i più alti d’Europa (più del 22,6%), i giovani fra 15 e 24 anni che non hanno e non cercano lavoro (i cosiddetti NEET, insomma, gli scoraggiati) toccano il record Ue del 19,9% (la media europea è 11,5%), la differenza fra uomini e donne che lavorano è al 20,1%, e il numero di persone che vivono in condizioni di povertà estrema (11,9%) è aumentato fra 2015 e 2016, unico caso in Ue con Estonia e Romania. È la fotografia del Belpaese, offerta dall’indagine 2017 sull’occupazione e sugli sviluppi sociali in Europa (Esde) pubblicata appunto dalla Commissione.
Il report evidenzia non solo le difficoltà che i giovani incontrano nell’affacciarsi al mondo del lavoro, ma anche tutte le conseguenze che questo comporta. Nel 2016, la disoccupazione fra i 15 e i 24 anni è stata al 37,8%, in calo rispetto al 40,3% del 2015, ma comunque la terza in Europa dopo Grecia (47,3%) e Spagna (44,4%). Chi riesce a trovare un lavoro, invece, in più del 15% dei casi ha contratti atipici (fra i 25 e i 39 anni, nel Regno Unito è meno del 5%, dati 2014), è “considerevolmente più a rischio precarietà”, e se ha meno di 30 anni guadagna in media meno del 60% di un lavoratore ultrasessantenne. Ne consegue che i giovani italiani escono dal nido familiare e fanno figli fra i 31 e i 32 anni, più tardi rispetto a una decina di anni fa e molto dopo la media Ue, che si arresta intorno ai 26 anni. Un vero baratro. Ormai, già a vent’anni decidono di lasciare il paese, perché non hanno nessuna intenzione di fare i precari a vita o bene che gli vada per dieci anni. Il tutto, ovviamente, nell’indifferenza generale.