La mia generazione ha perso, cantava Giorgio Gaber, senza sapere che aveva appena composto l’inno di chi è nato a cavallo del nuovo millennio. Tutto sembra congiurargli contro. Emmanuel Macron, PaoloGentiloni, Angela Merkel e Theresa May, avranno il destino d’Europa nelle loro mani ma nessuno dei quattroha figli. Ai 130.000 italiani (tra cui molti studenti) che hanno lasciato il paese nel 2016, si contrappongono i 135.000 stranieri che hanno trovato un lavoro, amara compensazione di un paese sempre più vecchio. Persino i sondaggi sulla fiducia prendono in considerazione numerosi vocaboli di tendenza o meno – da Papa Francesco a Trump – dimenticando la fatidica parola:‘’giovani’’.
Gli stessi media si ricordano dei millenials solo per glieventi tragici che li coinvolgono (Valeria Solarin, uccisa al Bataclan, i fidanzati morti nella torre andata a fuoco a Londra) o quando fanno simulazioni sulle magrissime pensioni future. Piuttosto che sconfitta, si tratta di una generazione desaparecida.
Eppure a dispetto di questa indifferenza, coloro che sono nati a cavallo del 2000 contano, numericamente e socialmente. Secondo le ultime rilevazioni dell’Istat, igiovani italiani, nonostante siano quelli più scoraggiati di tutti gli altri europei, compongono il gruppo socialemaggiormente qualificato (dopo i manager), peccato cheallo stesso tempo siano anche il nucleo più povero, dunque quello meno considerato. Nel 2016 i 15-34enniancora a casa con i genitori erano infatti il 68,1 per cento, in tutto 8,6 milioni: un partito fantasma, una ricchezza sepolta senza concreta rappresentanza, giusto una riga nei programmi dei grandi schieramenti.
Accade anche che prendano forma iniziative spontanee di grande potenza. Come il concerto evento dopo la strage di Manchester, le innumerevoli comunitàtrasnazionali che nascono in Europa grazie ai programmi Erasmus o la Dichiarazione di Ventotene, scritta da trenta studenti francesi, tedeschi e italiani, che al tredicesimo articolo dedicato al rispetto recita quanto si sarebbe dovuto leggere nella Costituzione europea mai nata: ”Nel territorio dell’Unione i cittadini europei e non europei devono accettarne e rispettarne i valori fondamentali, le tradizioni e le leggi. Non c’è posto per chi non rispetti le leggi e tutti gli altri individui”. Tutte queste persone hanno idee chiare, lucidità mentale,spirito pragmatico, principi che già nel 1941alimentavano il Manifesto di Spinelli, Colorni e Rossi. E’ arrivato il momento che queste aspirazioni escano dal confino in cui nuovamente sono state recluse. Ci vorrebbe però una capacità di ascolto che latita ovunque.
La risposta del nostro ceto politico a queste istanze nel corso dei decenni si è limitata ad un tentativo di coinvolgere tutti nella cosa pubblica. Il sistema proporzionale, invece di allargare la rappresentanza a tutte le categorie della società, alla fine è stato alla base dell’impennata del debito pubblico e ha contrassegnato l’utilizzo della spesa statale come strumento di cattura di consenso per le fasce adulte della popolazione. Cassa del Mezzogiorno, scala mobile, baby pensioni, hanno nutrito dalla fine degli anni sessanta ai primi anni novanta la Bestia del debito, alimentando peraltro i divari sociali che oggi divampano tra coloro che hanno goduto di queste misure e chi non sa nemmeno cosa siano.
In virtù di questo approccio miope, ogni italiano che nasce si trova oggi in tasca una bella ipoteca di 35.000 euro, che lo accompagnerà dalla culla alla pensione: è la sua quota di debito. Inevitabile che vada via, ancor prima di accedere all’università, non avendo prospettive di carriera ne’ tantomeno di assistenza previdenziale.
Qualcosa da fare per fermare questa emorragia ci sarebbe. Innanzitutto combattere la rimozione collettiva degli effetti anti-generazionali del nostro indebitamentocomplessivo, arrivato a pesare il 133% del Pil, e vera causa di quella cambiale che impedisce a qualsiasi esecutivo di fare investimenti massicci per la scuola, la formazione, la ricerca. Serve un taglio, dopo una seria due diligence sul vero valore del patrimonio dello Stato e a prescindere dalla crescita del Pil. In secondo luogo,sgombrando il campo da ogni ipocrisia, occorrerebbe impedire a chi è in pensione di ricoprire incarichi che potrebbero essere lasciati a coloro che hanno 25-30 anni. Tagliamo il debito e sblocchiamo le porte girevoli del lavoro. Senza svantaggiare nessuno, saremmo un paese più giovane e proiettato verso il futuro.
Foto di: L.S.
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