Uno schiaffo all’Italia fra questione libica e Fincantieri, un altro alla Merkel con l’invito a Parigi al Presidente Trump. Al sospetto di un implicito nazionalismo, lasciato dalle politiche estere di Macron in molti osservatori, si aggiunge una manifesta inefficacia strategica quando si considerano politiche in cui più sarebbe necessaria una risposta sovranazionale europea: le politiche migratorie.
Sul piano nazionale, festeggiati i primi cento giorni di governo, Macron sembra deciso a non volere “più nessuno per le strade” francesi entro fine anno. A nord dunque, sostenendo un’equa partizione delle responsabilità internazionali, si esige da Londra l’apertura della frontiera agli sfollati di Calais. A sud, appellandosi a questioni di sicurezza, quella con l’Italia resta sbarrata, rendendo facilmente misurabili sia la responsabilità che la solidarietà francesi: a fronte di quasi 98.000 arrivi in Italia da gennaio a metà agosto 2017 – dati del Min. dell’Interno – la Francia, dall’inizio della presidenza Macron a oggi, non ha ricollocato una sola persona dall’Italia di quelle previste dalle cosiddette “quote migranti” della Commissione Europea. Al di là delle cifre, qualsiasi pretesa politica macroniana di federalismo, quando non di europeismo tout court, crolla sotto i colpi inequivocabili della chiusura delle frontiere Schengen. Una strategia involutiva rispetto alle conquiste dell’Unione, che non ha nulla di federalista, ma soprattutto nulla di realmente efficace: si è già visto nel 2015 come il moltiplicarsi delle barriere sulla rotta Balcanica non abbia certo fermato i flussi, ma li abbia invece deviati su percorsi più lunghi e pericolosi sia fisici che burocratici, moltiplicando le opportunità per i passeurs di lucrare illegalmente su frontiere sempre più chiuse. Le politiche migratorie, per essere incisive, devono essere europee: dare risposte nazionali a problemi globali si rivela, oltre che inefficace, potenzialmente deleterio.
Sul piano europeo, l’Eliseo pare altrettanto risoluto, ma ugualmente poco innovativo: non ultima, l’idea di hotspot con personale UE in Libia per l’esame delle domande d’asilo. Vale la pena ricordare che l’ente internazionale preposto allo scopo, l’UNHCR, è già attivo sul campo e che lo stesso staff internazionale (non libico) dell’HCR ha dovuto dislocare a Tunisi per ragioni di sicurezza. Anche i centri di detenzione di migranti sono già presenti: nominalmente sotto controllo governativo, sono spesso gestiti da gruppi armati autonomi e teatro di torture e stupri, come già documentato da Amnesty. Non è certo la prima volta che si propone di esternalizzare l’accoglienza in Paesi terzi considerati “sicuri”: emblematici in tal senso nel 2016 gli accordi UE con Turchia e Afghanistan. Quale protezione possano garantire questi Paesi, resta materia di dibattito. L’altra soluzione europea proposta dal Président è stata l’aumento del budget per la difesa delle frontiere europee. Di nuovo, nessuna novità. Il mandato dell’agenzia europea Frontex è stato moltiplicato in finanze, competenze e strumenti nell’ottobre 2016 – senza che per questo sia stato aumentato il controllo parlamentare europeo sulle sue delibere. Di nuovo, una soluzione fallace: dalla creazione dell’Agenzia nel 2005 ad oggi, il crescendo di militarizzazione delle frontiere esterne dell’UE non ha corrisposto a una diminuzione dei flussi, ma al contrario a un susseguirsi di record di arrivi – oltre che di mai arrivati.
È questa dunque la Fortezza Europa di Macron: politiche già viste su ogni fronte, che si pretendono nuove ridando loro un po’ di smalto, ma non per questo più efficaci. Riproposte per combattere una crisi in cui, forse più che in altre, è sempre più evidente la necessità di un’Europa lungimirante che agisca all’unisono per affrontare le sfide comuni, sotto un governo unico e federale. Ma questa è un’altra storia.