Riceviamo dal presidente Pier Virgilio Dastoli e volentieri pubblichiamo
Dichiarazione del Movimento europeo-Italia in vista del Consiglio europeo del 28-29 giugno 2018.
A. Per garantire il diritto di asilo e governare i flussi migratori
L’assenza di una politica europea per la gestione comune delle richieste di asilo e delle migrazioni – prevista negli art. 77-80 del Trattato di Lisbona e per i quali il Consiglio europeo e il Consiglio potrebbero essere denunciati dal Parlamento europeo, dalla Commissione o da uno degli Stati membri davanti alla Corte di Giustizia in base all’art. 265 del Trattato – ha creato gravi problemi interni ai nostri paesi, lacerato gli animi degli Europei e fatto emergere ataviche paure con conseguenti e inaccettabili forme di chiusura e di xenofobia.
La crisi umanitaria perdura ed essa appare in tutta la sua drammatica evidenza nelle persone che muoiono nel Mediterraneo e in quelle più numerose che soccombono nel viaggio attraverso il deserto del Sahara mentre gli Stati membri tengono l’Europa in una situazione di stallo ed è evidente da tempo quanto sia urgente e necessaria una risposta europea globale. Se non ci sarà questa risposta europea globale, l’Europa rischia di affondare – come viene ora apertamente auspicato da leader sovranisti – e i nazionalismi contrapposti provocheranno conflitti di cui è difficile prevedere l’esito ma di cui è facile prevedere le conseguenze negative per tutti gli Europei.
Tale risposta rappresenta per l’Unione europea e per i suoi membri l’opportunità di inserirsi nello scenario globale in un’area dove si gioca il suo futuro politico, economico, sociale e culturale e in cui l’assenza del ruolo geopolitico dell’Europa apre spazi e scenari preoccupanti. Da un lato essa deve essere fondata su una rinnovata e rafforzata politica di cooperazione e di aiuto nel quadro di un grande piano europeo di investimenti dotato di risorse adeguate, rivolto principalmente all’Africa e articolato su un partenariato pubblico/privato. Dall’altro essa deve essere associata a una rinnovata politica del welfare e dell’inclusione sociale che tenga conto dell’obiettivo politico di medio periodo dell’integrazione della popolazione immigrata nei territori dell’Unione europea e del loro diventare cittadini europei.
Il piano europeo deve essere in grado di favorire uno sviluppo sostenibile e inclusivo, privilegiando le attività generatrici di occupazione e di reddito, la sicurezza ambientale, sanitaria e alimentare, il sostegno alla capacità di buon governo – con un’attenzione alla dimensione demografica – favorendo l’educazione alla genitorialità responsabile e all’empowerment delle componenti giovanili e femminili delle popolazioni. Per questa ragione occorre intensificare il coinvolgimento dei partner socio-economici e delle organizzazioni umanitarie e tener conto del livello di democrazia o di autoritarismo nei paesi di quel Continente dove un notevole numero di Stati è governato da regimi dittatoriali con situazioni insostenibili di corruzione, fame, povertà, disastri ambientali, espropriazione di terre e conflitti tribali.
Tutto ciò è all’origine di grandi movimenti di popolazioni che, in una percentuale assolutamente prevalente, avvengono fra i paesi africani e, solo in una minima parte, verso l’Europa dove i rifugiati sono attualmente poco più di 5 milioni pari all’1% della popolazione europea e l’Italia è al quarto posto in valore assoluto dopo la Germania, la Francia e la Svezia e uno degli ultimi paesi europei in percentuale sulla popolazione residente con la Svezia al primo e Malta al secondo posto. Questa situazione reale è offuscata dalla comunicazione mediatica dominante concentrata 2sulla sicurezza dei cittadini europei con un’informazione distorta sui numeri e sulle caratteristiche effettive dei flussi migratori.
Il Movimento europeo ribadisce con forza che:
- – Il salvataggio di chi rischia la vita in mare, fondato sulle Convenzioni delle Nazioni Unite e sui principi dell’Unione europea, è un dovere prioritario e irrinunciabile di tutti i paesi membri.
- – Nell’ipotesi in cui un’autorità governativa si rifiutasse di rispettare tali doveri, chi opera in mare (guardia costiera, medici, organizzazioni umanitarie…) sarebbe legittimato ad adottare forme didisobbedienza civile.
- – Vanno valorizzate le decisioni giudiziarie che sollevano la questione del contrasto fra le norme nazionali e il diritto dell’Unione europea e frenano le espulsioni.
- – La gestione dei flussi migratori deve avvenire nel rispetto scrupoloso dei diritti umani sanciti dalla Dichiarazione universale dei Diritti dell’Uomo e dalla Carta dell’Unione europea (art. 18 e 19).
- – Gli atteggiamenti di rifiuto, di intolleranza e di xenofobia che emergono con crescente intensità,
investendo le stesse istituzioni di governo anche in paesi di solida tradizione umanitaria come l’Italia, negano il valore della solidarietà che è alla base dell’Unione europea. Ciò compromette la coesione economica, sociale e territoriale riconosciuta come obiettivo fondamentale dall’Unione europea e dalla Costituzione italiana.
- – Il rafforzamento della cooperazione dell’Unione europea con i paesi della sponda sud delMediterraneo (un’area ignorata nel cosiddetto “contratto di governo per il cambiamento” e nel discorso alle Camere del Presidente del Consiglio Conte) sul tema del governo dei flussi migratori – in sé necessario e prezioso – deve accompagnarsi a una vigilanza attenta e rigorosa sul rispetto della dignità umana dei migranti nei paesi di transito.
- – È necessario e urgente che l’Italia si doti di una legge organica sul diritto di asilo che dia infine attuazione all’art. 10 della Costituzione, andando al di là della decretazione di urgenza e contribuendo alla creazione di un sistema comune in Europa come previsto dall’art. 78 del Trattato di Lisbona. In mancanza di questa legge organica e dunque della certezza del diritto, solo il 10% dei richiedenti asilo ottiene in Italia lo status di rifugiato aumentando il numero degli irregolari che cadono spesso nelle mani della criminalità organizzata.
Per affrontare in modo efficace questi problemi serve:
- Una vera politica europea che sia in grado di gestire in modo sostenibile il complesso fenomeno migratorio e di graduare opportune formule di accoglienza insieme alla protezione dei diritti. In questo quadro appare necessario istituire una forza europea di controllo delle frontiere esternesulla base degli art. 33 e 77 del Trattato di Lisbona estendendo e rafforzando le competenze di FRONTEX.
Una politica che individui le capacità di assorbimento e integrazione dei migranti sul territorio europeo, si faccia carico di affrontare concretamente le multiformi sfide di un corretto inserimento e dell’indispensabile inclusione e riconosca nelle città e nelle aree interne i meccanismi e i motori dell’integrazione perché è tramite le città e le comunità locali che i migranti possono diventare cittadini europei nel quadro di un’evoluzione “federale” del diritto di cittadinanza.
3. Una politica europea di informazione che sappia spiegare alle popolazioni le opportunità
economiche, sociali e culturali rappresentate dall’arrivo dei migranti, il ruolo positivo di inclusione svolto da strutture come il “sistema di protezione per i richiedenti asilo e rifugiati” (SPRAR) e il contributo dei cittadini di paesi terzi allo sviluppo di interi comparti produttivi e alla 3crescita delle piccole e medie imprese.
In questo spirito il Movimento europeo ritiene indispensabile, durante ogni semestre di presidenza del Consiglio, che si svolga un Consiglio “Jumbo” cui partecipino i Ministri del welfare, degli affari esteri, degli interni, degli affari europei, dell’educazione e della sanità aperto al dialogo con il Parlamento europeo, con i rappresentanti dei partner sociali, delle comunità locali e regionali e delle organizzazioni umanitarie che si fanno carico delle attività di inclusione e integrazione. Il Movimento europeo chiede alla Commissione e al Parlamento europeo di proporre che la prima riunione di questo Consiglio “Jumbo” sia convocata durante il semestre di Presidenza austriaca del Consiglio dell’Unione e sollecita i governi rumeno e finlandese a inserirlo nelle priorità delle loro presidenze.
Il Movimento europeo sostiene l’apertura di vie di accesso legali attraverso corridoi umanitari per chi ha diritto all’asilo e di percorsi controllati per i migranti economici, la tutela dei minori non accompagnati (che rappresentano quasi la metà delle persone che arrivano in Europa e che cercano rifugio nel mondo) e la facilitazione dei ricongiungimenti familiari, l’accelerazione delle procedure per la concessione dei visti umanitari e di permessi di protezione temporanea, la creazione dell’Agenzia Europea per l’Asilo e l’Immigrazione, programmi di resettlementobbligatori stabilendo sanzioni per i paesi che non rispettano i loro doveri, una legislazione europea e leggi-quadro a livello nazionale che superino la frammentarietà del sistema attuale. Canali di migrazione legale dovranno essere realizzati in relazione alle esigenze economiche nei paesi di origine e di destinazione.
Il Movimento europeo condivide la proposta di individuare i beneficiari di protezione internazionale nei paesi dove i movimenti dei richiedenti asilo si addensano, attraverso un sistema di presidi coordinato a livello europeo preferibilmente collocati presso le delegazioni dell’UE nei paesi di transito con il concorso dell’ONU e la collaborazione degli Uffici Consolari dei paesi membri, delle competenti Agenzie internazionali e delle organizzazioni umanitarie, se necessario con la presenza di forze di sicurezza europee in collaborazione con i governi locali e con le organizzazioni regionali e sub-regionali africane. Se questa proposta fosse adottata, le richieste di asilo sarebbero esaminate sottraendo chi si rifugia in quei territori al ricatto delle organizzazioni criminali e dei trafficanti di esseri umani contro cui occorre adottare politiche di lotta europee più efficaci. Oltre alla riduzione dei costi e dei rischi, questa proposta costituirebbe una prima e più sicura fase dell’attuazione della gestione europea dei flussi migratori.
Si dovrà garantire successivamente il trasferimento di coloro il cui diritto di asilo sia riconosciuto dal presidio internazionale agli Stati di destinazione, dove poter formalizzare la richiesta d’asilo fissando a livello europeo quote sostenibili di accoglienza obbligatorie e realizzando, per gli altri, rimpatri volontari assistiti e incentivati nei paesi di origine o l’inserimento, se ve ne siano le condizioni, in canali di immigrazione legali con procedure accelerate.
La revisione del Regolamento di Dublino, inizialmente ratificato dall’Italia nel 2003 e successivamente modificato nel 2013, deve essere fondata: a) sul superamento del principio del primo paese di arrivo, b) su un approccio che consideri la politica migratoria e di asilo come la risposta a un processo strutturale e non a una crisi emergenziale, c) sulla presa in considerazione – quanto ai paesi di destinazione – dell’esperienza professionale e delle aspirazioni dei richiedenti asilo. In questo spirito, il Movimento europeo sottolinea il lavoro compiuto dal Parlamento europeo e dal Comitato delle Regioni di cui condivide le proposte e sostiene la lettera dei cinque Stati che si sono opposti, su iniziativa del governo Gentiloni, all’ipotesi di compromesso della 4Presidenza bulgara che avrebbe legittimato la non-partecipazione all’accoglienza da parte dei paesi più recalcitranti in particolare del Gruppo di Visegrad con i quali, all’interno del nuovo governo italiano, vi è chi vuole stabilire un asse privilegiato malgrado le posizioni contrapposte agli interessi dell’Italia.
La revisione del Regolamento di Dublino lascia aperta la questione della gestione europea dei flussi dei cosiddetti migranti economici che il Trattato di Lisbona attribuisce alla sola responsabilità degli Stati. In effetti sono stati i governi che hanno deciso, di comune accordo, di essere i soli responsabili nella gestione dei flussi migratori (art. 79 par. 5 del Trattato di Lisbona). Anche per queste persone occorre una gestione europea dei canali legali di immigrazione.
B. Per un bilancio pluriennale che garantisca i beni pubblici europei
Il bilancio è lo strumento chiave per assicurare beni pubblici alle cittadine e ai cittadini. Esso deve essere fondato sul doppio principio di “nessuna tassazione senza rappresentanza” e “nessuna rappresentanza senza tassazione” con il consenso popolare.
Il Movimento europeo chiede alle istituzioni europee di:
– ristabilire la programmazione quinquennale applicata nel pacchetto Delors-I 1988-1992, indispensabile da un punto di vista economico e democratico
– introdurre nei negoziati il metodo del bilancio partecipativo, attraverso tre fasi principali: Convenzioni e audizioni tematiche (“agora”) organizzate dalle commissioni del Parlamento europeo e dei parlamenti nazionali; una Convenzione generale ed europea dei cittadini prima della fine dei negoziati preceduta da “giurie di cittadini” tematiche; consultazioni con gli strumenti dellae-democracy sulle norme relative ai programmi dell’Unione europea
– assicurare che le priorità finanziarie relative alle spese siano coerenti con gli obiettivi del rafforzamento della dimensione sociale così com’è stato affermato a Goteborg con l’approvazione del “Pilastro Sociale” e con gli Obiettivi di sviluppo sostenibile adottati all’unanimità dagli Stati membri nel 2015, nel quadro dell’Agenda 2030 e dell’Accordo sul clima di Parigi
– introdurre una priorità qualitativa e quantitativa sul tema delle risorse proprie, conferendo così all’Unione europea una capacità di bilancio autonoma nonché attribuire un potere di co-decisione completo al Parlamento europeo nella politica finanziaria pluriennale. fenomeno epocale delle migrazioni umane occorre affidare il governo dei flussi migratori a un’autorità federale. Se non si affronta con urgenza questa sfida esistenziale ogni dibattito sulla sovranità europea rischia di essere cancellato dalla fine del progetto europeo fondato sui valori
Occorre a questo riguardo, in base al metodo della cooperazione rafforzata, creare un meccanismo economico-finanziario, che poterebbe prendere la forma di una linea di bilancio dell’eurozona all’interno del bilancio dell’Unione europea a 27, adeguatamente dotata, ispirata al metodo comunitario, gestita dalla Commissione (e così sottratta al veto degli Stati membri e dei parlamenti nazionali) e operante grazie a una serie di automatismi che ne limitino la discrezionalità al fine di evitare lo scoglio di una revisione intergovernativa dei trattati e di rispettare il diritto dell’Unione.
Tale strumento deve avere una capacità fiscale propria e una capacità di ricorso al mercato dei capitali (project bonds e integrazione con i futuri prodotti pensionistici individuali paneuropei). Esso dovrebbe essere gestito da un “ministro delle finanze europeo” membro della Commissione europea e responsabile davanti al Parlamento europeo con risorse comuni per investimenti nelle infrastrutture, nella conoscenza e nella protezione sociale diretti ad assicurare prosperità e sicurezza, aumentare la produttività, garantire dalla disoccupazione, senza trasferimenti di risorse fra Paesi creditori e debitori né mutualizzazione dei debiti nazionali.
Tali risorse possono essere generate in modo innovativo e virtuoso, incidendo principalmente su consumi socialmente dannosi, recuperando l’elusione fiscale, soprattutto nel settore ITC e surplus commerciali.
Il Movimento europeo chiede pertanto al governo italiano che
– sostenga la piena fattibilità della capacità fiscale dell’Eurozona
– sostenga l’esigenza di investimenti europei nella garanzia dalla disoccupazione e per lo sviluppo sostenibile, nella produzione di beni pubblici per la prosperità e la sicurezza mediante risorse proprie europee e un fondo europeo per l’indennità di disoccupazione
– programmi il riequilibrio e il rilancio della propria situazione economica, sociale e competitiva, consapevole dei propri fattori di debolezza, non perché richiesto dall’Unione europea, ma perché nell’interesse del popolo italiano e delle nuove generazioni.
C. Per garantire la sicurezza esterna
La difesa europea, quale componente della politica estera e di sicurezza comune, deve essere concepita come strumento per consentire all’Unione europea di agire efficacemente per il mantenimento e la costruzione della pace ma anche per intervenire nella gestione delle crisi nell’ambito e su mandato delle Nazioni Unite.
In questo quadro è essenziale che il Consiglio europeo faccia pieno uso della “clausola passerella” prevista dagli articoli 31.5 e 48.7 del Trattato di Lisbona per introdurre il voto a maggioranza e che gli Stati membri si coordino fra di loro per parlare con una sola voce nel Consiglio di sicurezza e nell’Assemblea delle Nazioni Unite nonché nelle sue organizzazioni e Agenzie specializzate.
La difesa europea deve progressivamente assumere la funzione di pilastro europeo dell’Alleanza Atlantica in un contesto di complementarietà con la NATO ma con una propria capacità di pianificazione e conduzione delle operazioni fondata sugli interessi strategici dell’Unione europea.
L’acquisizione di un’effettiva capacità in questo campo richiede una progressiva standardizzazione e integrazione di assetti, risorse, mezzi, formazione e capacità industriali per superare duplicazioni e sprechi approfondendo e sviluppando le linee indicate in particolare dall’Alta Rappresentante per la politica estera e della sicurezza, dal Presidente francese Macron e dagli ultimi governi italiani, solo parzialmente recepite nelle conclusioni del Consiglio europeo e del Consiglio.
Un mero aumento delle spese militari, senza tale razionalizzazione inclusiva di un mercato unico degli armamenti, non darebbe all’Unione europea l’efficacia richiesta dall’esigenza manifestata di assumere maggiori responsabilità per la sicurezza globale in particolare nelle aree di crisi all’Unione europea più vicine, in collaborazione con le Nazioni Unite, con le competenti organizzazioni regionali e sub-regionali e – laddove ve ne siano le esigenze e le condizioni – con la NATO.
Una particolare attenzione va riservata a una difesa comune contro i rischi di attacchi informatici.
Nell’ambito del suo approccio olistico di integrazione degli strumenti civili e militari nella gestione delle crisi andrebbe anche considerata la costituzione di peace corps europei per contribuire ad azioni di prevenzione e mediazione nei conflitti locali e di consolidamento di situazioni post- conflittuali.
E’ essenziale anche procedere alla creazione del Corpo Volontario Europeo previsto dall’art. 214 del Trattato di Lisbona prevedendo un adeguato coordinamento con il Servizio Volontario Europeo (nella prospettiva di trasformarlo in un vero Servizio Civile Europeo) e il Corpo europeo di solidarietà istituito dalla Commissione europea.
Queste iniziative possono aprire la strada a forme di difesa civile europea, che comprenda la formazione e l’educazione delle popolazioni europee al fine di favorire la mediazione, la promozione dei diritti umani, la solidarietà internazionale, l’educazione alla pace e il contrasto alle situazioni di degrado sociale, culturale e ambientale.
L’Unione europea deve agire per attuare un controllo nella vendita degli armamenti e per una riduzione bilanciata e controllata a livello internazionale delle forze militari e degli armamenti.
L’Unione europea deve inoltre intensificare la sua azione contro la proliferazione nucleare, salvaguardando quanto conseguito nell’accordo con l’Iran, incoraggiando analoghi sviluppi nella penisola coreana e operando per la piena attuazione del Trattato sulla non proliferazione nucleare (TNP).
La politica di sicurezza e difesa, cuore pulsante della sovranità di un popolo, si fa tuttavia sulla base di una strategia complessiva di politica estera.
Non potendo che essere il frutto di scelte legittimamente e democraticamente assunte con piena responsabilità di fronte alle cittadine e ai cittadini, essa richiede un’integrazione politica e meccanismi decisionali che a oggi sono ben lontani anche solo dall’essere evocati.