di Giovanni Formicola

Un anno fa, la presidente della Commissione Europea Ursula Von der Leyen annunciava il cosiddetto European Green Deal: un piano di politiche mirato al rispetto degli Accordi di Parigi con la finalità ultima di trasformare l’Unione europea nel primo continente a neutralità climatica (assenza di emissioni di gas serra) entro il 2050. Obiettivo nobile senz’altro, ma di difficile realizzazione se non accompagnato dalla giusta legislazione e dalla giusta macchina strumentale. Inoltre, la Commissione ha recentemente dichiarato di voler ridurre le emissioni di gas serra del 55% entro il 2030. Non sono necessarie specifiche competenze o una particolare passione per le politiche ambientali per comprendere quanto questo obiettivo necessiti di un cambiamento radicale delle nostre industrie private e statali. A supporto di ciò, la Commissione ha lanciato diversi strumenti pronti ad accompagnare questa riconversione energetica, tra i quali il Just Transition Mechanism e l’European Industrial Strategy.

Tra gli strumenti varati, analizziamo l’innovativo Emission Trading System (ETS) europeo. Attivo dal 2005, l’ETS è il primo mercato internazionale “cap and trade” per lo scambio di quote di emissioni di gas a effetto serra (GHG) prodotte dalle aziende. In sintesi, ogni azienda/industria deve rispettare un tetto massimo di quote inquinanti per non incorrere in sanzioni economiche. La via per evitare queste sanzioni è la compravendita di quote da altre aziende che ne possiedono un surplus.

Simuliamo uno scenario fittizio dove il tetto massimo di quote è 10 emissioni di GHG e dove operano due aziende, chiamate Marte e Venere. L’azienda Marte è poco incline alla riconversione energetica e continua la sua politica d’inquinamento seriale. Non prendendo in considerazione il tetto massimo di 10 quote di emissioni inquinanti, Marte ne produce 13, eccedendo di tre. Venere, invece, paladina ambientale, chiude l’anno con 7 emissioni di GHG, risultato che le offre un surplus di 3 quote. Marte, per non incorrere nelle sanzioni economiche, deve necessariamente usufruire della compravendita di quote ed acquista le 3 di surplus da Venere, rientrando nei limiti massimi imposti. In questo scenario, Marte è stata costretta a comprare delle quote dal mercato, incorrendo in grosse spese. Situazione opposta per Venere, che è riuscita a trarre un guadagno grazie alla sua impronta sostenibile.  Quindi? Si crea un modus operandi dove regna l’incentivo e il bisogno di riconvertire il proprio impatto ambientale. Rispettare il tetto massimo di quote inquinanti comporta la possibilità di vendere le proprie quote di surplus alle aziende “cattive”. Sembra tutto rose e fiori, ma purtroppo non è questo il caso.

Il problema principale di questo strumento è il fenomeno chiamato carbon leakage (rilocalizzazione delle emissioni di carbonio). La rilocalizzazione delle emissioni di carbonio può essere definita come una situazione che potrebbe verificarsi se, per ragioni di costi legati alle politiche climatiche, le imprese trasferissero la produzione ad altri Paesi con vincoli di emissioni più permissivi. Per evitare un fuggi fuggi generale di aziende l’ETS, nella sua fase 1, aveva garantito quote gratuite a settori di esportazione del commercio ad alta intensità di emissioni come l’acciaio o l’estrazione mineraria. Il ragionamento alla base è giusto e lineare: questo tipo di politiche stringenti devono necessariamente salvaguardare il mercato interno e la sua competitività economica. Al giorno d’oggi solo il 57% delle quote è sottoposta alla compravendita di mercato, il restante è distribuito (seguendo norme specifiche) su base gratuita. Tuttavia, questo meccanismo non riesce a raggiungere i futuri obiettivi di emissione dell’UE, poiché le quote gratuite non riducono il numero necessario sul mercato e impediscono l’aumento dei prezzi delle quote stesse: questo è esattamente quello che è successo all’interno del nostro strumento.

Il prezzo di mercato delle quote è sottoposto a continui shock di prezzo con cadute vertiginose che possono ammontare anche al prezzo minimo di 1 euro a quota, andando contro l’utilità stessa dello strumento (Marte ne potrebbe comprare quante vuole senza incorrere in un danno economico). Per cercare di migliorare la compravendita, l’UE ha lanciato il Market Stability Reserve (MSR): la Commissione compra un surplus di quote dal mercato per rilasciarle in un secondo momento al prezzo più vantaggioso, cercando di riequilibrarlo.

Per quanto riguarda la rilocalizzazione di produzione estera di aziende, la Commissione europea ha lanciato una proposta politica, senza precedenti su scala internazionale, per un aggiustamento del carbonio alla frontiera, in inglese Carbon Border Adjustament Mechanism (CBAM). Riconsiderando lo scenario precedente: Marte ha cambiato atteggiamento e all’interno dei confini europei produce una quantità sopportabile di GHG. Ciò nonostante, importa da territori extracomunitari dei materiali ad alto tasso inquinante per riutilizzarli nelle proprie attività. Quindi la sua produzione domestica è green, ma basata su materiali – importati dall’estero e quindi non sottoposti all’ETS – ad alto tasso inquinante. Questa scorciatoia permette alle aziende di fare “buon viso a cattivo gioco” in maniera del tutto legale e diretta: punto nevralgico su cui la Commissione ha intenzione di agire con diverse proposte di tassazione alla frontiera.

In conclusione, gli obiettivi posti dalla Commissione all’intera Unione devono essere necessariamente rispettati per contrastare i disastrosi cambiamenti climatici a cui stiamo andando incontro. Gli strumenti esistono ma devono essere migliorati nei loro deficit strutturali. Gli studi accademici hanno dimostrato come, nel caso dell’ETS, questi miglioramenti potrebbero essere ostacolati principalmente dal settore industriale per motivi di profitto. Qui la domanda sorge spontanea; le riforme istituzionali devono essere guidate dagli obiettivi ambientali o dall’insistente bisogno di profitto delle aziende? Le prossime politiche climatiche europee sono chiamate a risolvere la diatriba sopraccitata. La tassa alla frontiera penalizzerà nel breve periodo le aziende, le quali però ne beneficeranno nel lungo grazie agli incentivi e alla loro necessaria riconversione energetica. A luglio 2021, la Commissione annuncerà il proprio progetto definitivo, noi cittadini attendiamo. Il 2030 si avvicina a grandi passi.