La repressione spagnola delle ataviche spinte indipendentiste della Catalogna e’ stata gia’ analizzata e criticata in molti modi. Ma una lettura diversa di questi fatti e del tutto opposta a quella più ricorrente e cioe’ che sia esito della Brexit e di tutte le altre spinte nazionaliste presenti in Europa e nel mondo occidentale, va fatta. E se Barcellona, che ha avuto l’appoggio anche della sua amata squadra di calcio, si sentisse più sicura all’interno dell’Unione Europea che negli asfittici confini madrileni? La voglia autonomista della Catalogna, come quella della Scozia, della Slesia, delle Fiandre e chissa’ un domani della Lombardia e del Piemonte dopo il referendum sull’autodeterminazione fiscale del 22 ottobre, e’ anche il prodotto delle garanzie che la pur imperfetta Unione sa dare: liberta’ di movimento, liberta’ di espressione, mercato unico, moneta unica. Comunque vada, anche se si abbandona la madre patria, stare nell’Ue e’ vivere sotto un ombrello protettivo più grande. E questo, in piena globalizzazione, non e’ poca cosa. Quelle liberta’ sono poi proprio i principi che i paesi europei più nazionalisti tendono a dimenticare o a relegare dentro confini più stretti, autocotoni, perche’ hanno un loro concetto di frontiera, cittadinanza, moneta. Il problema Catalogna, se l’Europa si rafforzera’ ulteriormente, e’ tale quindi più per la Spagna che per Bruxelles. Al massimo puo’ diventare il ventottesimo partner al posto dell’Inghilterra. Da qui anche la timidezza iniziale della Commissione Europea nel condannare lo spirito indipendentista degli indomiti catalani. Chissa’ se a Roma non stiano sottovalutando la prossima consultazione lombardo-veneta. Che sia l’Europa, più che l’Italia, la risposta anche per loro?