Riceviamo dall’autore, presidente del Movimento europeo Italia, e volentieri pubblichiamo, il pezzo apparso oggi su cetri-tires.org
Il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres, fondando la sua affermazione sulle analisi degli scienziati, aveva avvertito prima di Glasgow che il mondo era ormai sulla porta del disastro ambientale se non si fossero fatti sostanziali passi in avanti rispetto alle promesse e poi agli impegni sottoscritti da Parigi (2015) in poi.
Dopo trecento ore di discussione e un prolungamento dei negoziati, il compromesso raggiunto rappresenta un deludente passo indietro rispetto a quelle promesse e a quegli impegni su almeno quattro punti:
- Il limite dell’innalzamento delle temperature a non oltre 1.5°C è progressivamente evaporato lasciando spazio a interpretazioni contraddittorie e pericolose incertezze sui tempi e sui modi per il raggiungimento di quest’obiettivo passando dalla metà alla fine del secolo
- È stata di fatto cancellata la promessa di mettere progressivamente al bando l’uso del carbone ma è stata invece accettata all’ultimo momento la proposta indo-cinese di parlare solo di “limitazione”
- Non è stato preso nessun impegno sulla eliminazione dei finanziamenti alle energie tradizionali con la conseguenza che ci saranno meno risorse per le energie rinnovabili e alternative
- Sono stati drasticamente diminuiti gli aiuti ai paesi in via di sviluppo e ai paesi sottosviluppati (quelli che noi abbiamo chiamato i Last 20).
L’Unione europea nel suo insieme – ed in particolare la Commissione europea – è apparsa come l’organizzazione più coerente e più ambiziosa rispetto alle promesse e agli impegni ma le discussioni all’interno del Consiglio e del Consiglio europeo insieme alle posizioni dei singoli paesi membri nei corridoi di Glasgow hanno mostrato crepe evidenti nella difesa dei modi e dei tempi nella limitazione dell’innalzamento delle temperature e della messa al bando del carbone.
I negoziati per la formazione del nuovo governo tedesco hanno significativamente messo in luce una differenza sostanziale su queste questioni fra la componente verde da una parte e i socialdemocratici e i liberali dall’altra così come l’inizio del dibattito francese sulle elezioni presidenziali della prossima primavera sulle scelte energetiche ha mostrato posizioni che rischiano di creare ulteriori divisioni nell’Unione europea.
La coerenza e l’ambizione dell’Unione europea dovranno essere confermate nelle prossime decisioni del Consiglio, poi nel programma della presidenza francese ed infine nel Vertice UE-Unione Africana che si terrà, finalmente e dopo molti rinvii, a metà febbraio 2022 a Bruxelles.
Al di là delle proteste della società civile in molte piazze d’Europa ed in particolare dei giovani sull’ipocrisia dei governi e delle istituzioni internazionali (il bla-bla-bla di Greta Thunberg) ci sono altre vie che possono essere percorse per costringere i governi alla coerenza dei loro impegni internazionali.
Pochi sanno che, a partire dal 2015, in vari paesi europei (Paesi Bassi, Belgio, Germania, Regno Unito, Francia, Italia e Irlanda) i tribunali, poi le Supreme Corti e infine le Corti Costituzionali hanno condannato l’incoerenza ambientalista di quei governi rispetto alle ambizioni propagandate nei loro programmi così come le opinioni pubbliche dei nostri paesi – salvo le ONG ambientaliste – non conoscono la Convenzione di Aarhus firmata nel 1998 e entrata in vigore nel 2001 “sull’accesso alle informazioni, la partecipazione dei cittadini e l’accesso alla giustizia in materia ambientale” che ha portato ad una sentenza di condanna per la sua violazione da parte della Commissione Juncker davanti alla Corte di Giustizia UE.
Ancor meno cittadine e cittadini conoscono probabilmente il Policy Paper on Case Selection and Prioritisation elaborato nel 2016 dalla Corte Penale Internazionale per interpretare l’art. 8(2)(b)(iv) dello statuto della Corte con riferimento a crimini ambientali che, data la competenza della Corte, sono evidentemente legati ad azioni di guerra o militari.
Il Policy Paper introduce tuttavia un elemento di riflessione su possibili crimini ambientali al di fuori delle azioni militari propriamente dette come l’accaparramento delle terre (land-grabbing), lo sfruttamento illecito di risorse naturali e la distruzione degli eco-sistemi a scapito delle popolazioni indigene.
Queste considerazioni ci conducono a sollevare una questione che, a nostro avviso, dovrebbe rientrare fra le priorità dell’azione internazionale (ed europea) della società civile e che riguarda il sistema di governo (in senso lato) della lotta al cambiamento climatico e, più in generale, del raggiungimento degli obiettivi dello sviluppo sostenibile (Agenda 2030).
Rientrano in questa logica le idee di un Consiglio di Sicurezza ambientale delle Nazioni Unite sulla linea del testo adottato l’8 ottobre 2021 dal Consiglio per i diritti umani dell’ONU in cui si afferma che “l’ambiente è un diritto fondamentale”, la creazione di una autorità sovranazionale di monitoraggio fra una COP e l’altra e infine l’avvio di una iniziativa per la creazione di una Corte Internazionale per la lotta ai crimini ambientali.
Permetteteci, a conclusione di queste riflessioni sul deludente compromesso di Glasgow, di ricordare – a ottanta anni dall’elaborazione del Manifesto di Ventotene “per un’Europa libera e unita” – quel che scrissero nel 1941 Altiero Spinelli e Ernesto Rossi mentre le bandiere naziste sventolavano in quasi tutto il continente:
“Quando, superando l’orizzonte del vecchio continente, si abbraccino in una visione di insieme tutto i popoli che costituiscono l’umanità, bisogna pur riconoscere che la Federazione europea è l’unica concepibile garanzia che i rapporti con i popoli asiatici e americani (e, dobbiamo aggiungere oggi, africani n.d.r.) si possano svolgere su una base di pacifica cooperazione, in attesa di un più lontano avvenire, in cui diventi possibile l’unità politica dell’intero globo”.