a cura di Gianvito Brunetti

 

Sono trascorsi oltre 1.000 giorni dall’inizio del conflitto in Ucraina, un evento che ha sconvolto l’Europa, riportandola in uno scenario di guerra che si pensava relegato al passato. La minaccia russa, inizialmente percepita come circoscritta ai Paesi baltici e all’Europa orientale, si è estesa a tutto il continente, alimentando il dibattito sulla necessità di una difesa comune europea.

Dall’altra sponda dell’Atlantico, la nuova amministrazione americana non ha usato mezzi termini, richiamando gli Stati europei a rispettare l’impegno di spesa del 2% del PIL per la difesa, un obiettivo fissato in ambito NATO ma spesso disatteso. Il tono delle richieste è apparso quasi un ultimatum, soprattutto al netto della restaurata presidenza Trump.

 

L’Europa e il divario nelle spese per la Difesa

Secondo i dati NATO, la spesa militare tra i Paesi europei è estremamente disomogenea. La Polonia guida il gruppo con un investimento pari al 4,12% del PIL, che salirà al 4,70% entro il 2025, mentre Estonia, Lituania e Lettonia si attestano intorno al 3%. In netto contrasto, Francia e Germania sfiorano appena il 2%, mentre Italia e Spagna si fermano rispettivamente all’1,49% e all’1,28%.

L’aumento della spesa militare rappresenta, però, una sfida complessa per molti Paesi europei. La Francia deve fare i conti con una profonda instabilità governativa – emersa in questi giorni – e un debito pubblico in continua crescita. La Germania, ormai ex locomotiva d’Europa, fatica a ritrovare quella stabilità governativa che l’aveva contraddistinta nell’era Merkel. In questo scenario europeo, l’Italia, pur relativamente stabile sul fronte politico, si prepara a fronteggiare l’imminente ritorno al Patto di Stabilità e Crescita, il che farebbe temere il ritorno a un periodo di parziale austerity nel welfare per finanziare ulteriormente il comparto della difesa.

 

Immaginare risorse per la Difesa

La questione centrale è dove trovare le risorse necessarie per finanziare una difesa comune europea. Tra le opzioni sul tavolo la più immediata sembra essere una riallocazione del budget dell’UE. Una proposta sempre più discussa è quella di utilizzare i fondi di coesione, secondo pilastro del bilancio comune e presidio unico, per taluni Stati, del finanziamento statale all’economia nazionale nonché strumento principe della coesione economica.

Secondo il Financial Times, la politica di coesione dell’UE per il periodo 2021-2027, che dispone di un budget di 392 miliardi di euro, sta mostrando segnali di inefficienza. A dicembre 2024, solo il 5% dei fondi risulta speso. La situazione italiana risulta ancor più critica: il nostro Paese sebbene risulti tra i primi cinque beneficiari dei fondi ha utilizzato meno dell’1% delle risorse disponibili, complice la lentezza burocratica e la difficoltà di coordinamento tra governo centrale e regioni.

La politica di coesione 2021-2027 sconta però la sovrapposizione con uno strumento non dissimile in termini di obiettivi sebbene su scala più ampia: il Next Generation EU, lo strumento creato ad hoc dalla Commissione per far fronte all’emergenza economica successiva alla pandemia da COVID-19. Il sovrapporsi delle scadenze e la contemporanea finanziabilità con i due strumenti degli stessi progetti ha fatto sì che lo strumento del Next Generation EU, in Italia noto con l’acronimo di PNRR, venisse privilegiato nella spesa rispetto ai fondi di coesione.

 

Oltre l’aumento della spesa

La necessità di rifinanziare la difesa in ambito NATO, con preciso riferimento al contesto europeo, trova una propria realizzazione all’interno del progetto più volte discusso della difesa comune: una riorganizzazione del sistema militare dei singoli Stati in un’ottica unitaria. Tuttavia, l’idea di una difesa comune non può ridursi al semplice aumento delle spese militari. Come sottolineato anche nel rapporto Draghi, è necessario riprogettare il sistema di difesa europeo in chiave unitaria, sfruttando le sinergie tra gli Stati membri.

Una difesa comune potrebbe non solo migliorare l’efficienza operativa, ma anche stimolare l’economia, grazie alla creazione di un’industria della difesa europea integrata.

 

Il contesto politico così formatosi richiede l’elaborazione di una strategia comune per far fronte a tale obiettivo. Le strade che si propongono includono l’emissione di nuovo debito comune, replicando il modello post-pandemico, il che farebbe però emergere una serie di interrogativi circa la natura prettamente emergenziale del sistema politico europeo, incapace di far fronte tempestivamente e in logica di ordinarietà alle necessità. Inoltre, esiste il pericolo di relegare un settore così strategico alla vulnerabilità dei mercati finanziari.

Un’ulteriore via sarebbe offerta dalla possibilità di rivedere la partecipazione degli Stati al bilancio dell’Unione, che però si scontrerebbe con non poche reticenze, provenienti non solo dai Paesi frugali.

La proposta ultima, avanzata dal Financial Times, di dirottare i fondi di coesione solleva, però, interrogativi etici e politici. I fondi di coesione rappresentano uno strumento essenziale per ridurre le disparità regionali e sostenere il welfare. Di fronte alla crescente pressione geopolitica, l’UE rischia di dover sacrificare le sue tradizionali politiche sociali per finanziare la difesa, snaturando così la natura originaria di questi fondi.

 

L’Europa si trova dunque a un bivio. La pressione esterna, con la Russia da un lato e gli Stati Uniti dall’altro, rende urgente un’azione comune sul fronte della difesa. Tuttavia, le divergenze interne e le difficoltà economiche dei singoli Stati rendono arduo identificare una strada condivisa.

La realizzazione di una difesa comune potrebbe rappresentare un passo fondamentale per l’integrazione europea e per la sicurezza del continente.