a cura di Gaia Grassi

Con l’incremento vertiginoso dei prezzi sul mercato immobiliare viene da chiedersi se tutti i cittadini europei possano ancora sognare una casa. Le ultime dichiarazioni della presidente mettono in luce sfide crescenti e possibili soluzioni green alla crisi abitativa nell’Unione.

 

Lo scorso 18 luglio, Ursula von der Leyen, presidente della Commissione Europea, ha affermato davanti al Parlamento Europeo la volontà di voler affrontare una delle più grandi sfide continentali dell’ultimo decennio: la questione abitativa. Difatti, da Helsinki a Lisbona, così come da Parigi a Riga, per molti riuscire ad acquistare o solamente affittare una casa sembra sempre di più un lontano miraggio. 

Per dare un’idea, secondo i dati Eurostat, in Estonia i prezzi delle case sono aumentati del 140% tra il 2010 e il 2021 mentre in Austria, nello stesso periodo, i prezzi hanno subito un incremento del 100%. Gli unici paesi in controtendenza sono l’Italia, il Cipro e la Spagna. Ma questo significa che in Italia non si sta sperimentando questo problema? Affatto. In tutta la penisola, sebbene il costo medio delle case sia nel complesso diminuito, gli affitti restano in costante crescita, rendendo anche un semplice monolocale dispendioso per una persona a medio reddito. Sempre secondo dati Eurostat, a Roma il 35% del salario medio di una persona è destinato all’affitto di un appartamento con singola camera da letto fuori dal centro. La situazione degenera drasticamente in città come Lisbona e Varsavia, dove la percentuale supera il 60%. Ovviamente a farne le spese sono le categorie più fragili, ossia coloro con un reddito medio-basso, tra cui i giovani, le famiglie monoparentali, i lavoratori a basso-reddito e i migranti. 

Da questo quadro preliminare è facile concordare con il discorso della Presidente della Commissione Von der Leyen secondo cui “prices and rents are soaring … People are struggling to find affordable homes. I want this Commission to support people where it matters most, and if it matters to Europeans, it matters to Europe”. In breve, se i prezzi delle case diventano insostenibili per i cittadini dell’Unione, questo diventa un problema dell’Europa. Quest’affermazione si attesta come un vero e proprio paradigm shift all’interno dei palazzi di vetro di Bruxelles. Difatti, fino alla scorsa legislatura, la crisi abitativa non era mai stata letta in chiave europea, ma solamente come fardello dei singoli Stati. Ciò è ulteriormente rafforzato dal diritto europeo: attualmente la questione abitativa non è direttamente menzionata in alcun trattato né direttiva dell’Unione Europea. 

Proprio per queste ragioni, la nuova legislatura 2024-2029 punta a porre fine ad anni di silenzi ed avviare una serie di misure incisive. In primo luogo, sarà nominato per la prima volta un/a Commissario/ad competente in materia dando visibilità e autorevolezza al tema. Si tratterà di una figura chiave nell’attuazione dello European Affordable Housing Plan che cercherà di arginare, tra gli altri problemi, l’aumento vertiginoso sul territorio europeo dei senzatetto aumentando l’offerta degli alloggi accessibili. In linea con l’agenda della Presidente, non è possibile parlare di piano alloggi senza considerare la dimensione di sostenibilità ambientale dell’iniziativa. Per questo motivo, da questo autunno, si prevede la creazione di una piattaforma d’investimento per l’edilizia verde con l’obiettivo di attirare il maggior numero di finanziamenti, sia pubblici che privati. In linea di continuità, Von der Leyen ha dichiarato tra i suoi obiettivi: la creazione di un Fondo Sociale per il Clima – che supporti la ristrutturazione e l’allocazione di alloggi a prezzi calmierati ed efficienti dal punto di vista energetico –  e l’espansione del cosiddetto New European Bauhaus Program, un progetto lanciato nel 2021 la cui missione principale è la creazione di spazi abitativi urbani ripensati in ottica green. 

Tuttavia, per far bene a livello comunitario è necessario che si guardi e che si prenda ispirazione da Stati che già negli anni si sono attrezzati, più di altri, per cercare di contrastare almeno localmente un problema sempre più contagioso. Tra le good practices spicca, ad esempio, la Danimarca con un sesto della popolazione danese vive in case popolari, le quali non sono esclusivamente allocate a famiglie a basso reddito ma a qualsiasi persona può farne domanda. Gli standard di qualità sono elevati e la presenza è capillare su tutto il territorio. Il segreto? Le associazioni abitative sono delle non-profit e i due terzi dell’affitto vanno direttamente nelle casse dello stato, che si occupa di finanziare nuove strutture abitative pubbliche e ristrutturare quelle preesistenti. Ben più conosciuta al grande pubblico è invece la situazione viennese. Qui, infatti, più del 60% della popolazione vive in appartamenti che sono finanziati, almeno parzialmente, dal pubblico. Tutto ciò nasce dalla volontà, fiorita negli anni 80, di non privatizzare il settore delle case popolare, ossia non vendere ad esterni i progetti relativi alla costruzione di strutture abitative pubbliche. E sicuramente ciò ha contribuito a rendere la capitale austriaca una delle città più vivibili del mondo. 

Per raggiungere risultati soddisfacenti a livello macro, è sempre necessario partire dal micro, auspicando una grande sinergia tra progetti di successo nelle realtà locali e future implementazioni sovranazionali. Il sostegno delle istituzioni europee verso una tematica così cruciale rappresenta certamente il primo passo verso un’Europa davvero attenta ai bisogni dei suoi cittadini, ma Brussels sarà in grado di dare il via a questa grande rivoluzione? Staremo a vedere.