Una ricerca dell’Ocse spiega come ci sia netta interconnessione tra la spesa formativa per studente e la crescita del Pil pro capite. Più spendi per la scuola e più ti sviluppi. In questa graduatoria l’Italia si colloca ben sotto la media mondiale, con una spesa formativa per alunno di poco più di 7.000 dollari e una ricchezza per abitante di 36.000 dollari. Davanti a noi paesi che toccano quota 15.000 dollari per l’educazione primaria e secondaria, come la Norvegia, prima in classifica (reddito pro capite di 70.000 dollari) e molti altri che le si avvicinano quali la Svizzera (14.000 dollari spesi per studente e 60.000 dollari di reddito a testa), gli Stati Uniti (11.000 dollari e 57.000 di reddito pro capite), l’Irlanda (9.000 dollari contro 52.000), la Germania (10.000 dollari contro 48.000), la Gran Bretagna (12.000 dollari contro 42.000 dollari), la Francia (9.000 dollari a testa di spesa per alunno contro 40.000 di Pil pro capite).
Come tutte le classifiche può essre ribaltata, visto che il bilancio statale è di circa 700 miliardi di euro, ma combinata ad un’altra graduatoria ad essa connessa, non lascia adito a dubbi su come il nostro paese spenda più per gli anziani che per coloro i quali dovrebbero dare un contributo decisivo al futuro del paese. L’Istituto Cattaneo, elaborando dati Eurostat, ha messo in relazione la spesa sociale in pensioni di anzianità e reversibilità con quella sociale e la quota di popolazione con più di 65 anni.
Più sono alti questi rapporti e meno guardi al futuro. In questo caso siamo penultimi in classifica, con una quota del 59% (spesa pensionistica) e del 22% (over 65 su abitanti totali), davanti solo alla Grecia ma ben dietro tutti gli altri paesi, Germania, Francia e Gran Bretagna comprese. Non sorprende perciò che sia bloccato l’ascensore sociale. L’Italia è infatti all’ultimo posto nella graduatoria dei paesi più avanzati tra quelli i cui cittadini di 25-64 anni rivestono una posizione sociale superiore a quella dei propri genitori. La discesa delle classi è stata inarrestabile e davanti abbiamo spagnoli, irlandesi, francesi, tedeschi, norvegesi, americani, inglesi e tutti i paesi dell’Est Europa. Stanno tutti meglio di noi e il motivo è semplice: qualcuno ha investito sul motore del montacarichi, che se funzionasse ci farebbe primeggiare nel mondo.
Si può quindi discutere delle motivazioni che hanno spinto Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna ad avviare un programma di federalismo compiuto, ora inserito nella riforma del ministro Biccia sulle autonomie, probabilmente a danno del Sud, dove peraltro ci sono gli studenti migliori alla maturità, ma gli stessi governatori di queste tre ricche regioni d’Italia sembrano non conoscere il saldo migratorio con l’estero degli italiani tra i 20 e i 34 anni e con un livello di istruzione medio alto. Se ne sono andati in molti negli ultimi dieci anni proprio dai loro territori. La Lombardia è al primo posto con 25.000 addii, seguita dai 12.000 abbandoni del Veneto e appunto dall’Emilia Romagna, con 10.000 ‘’fughe’’ di cervelli.
In compenso il paese ha ampiamente colmato il suo gap digitale e oltre il 70% della popolazione usa i social per informarsi, condividere, esprimere opinioni e magari farsi un’idea sbagliata che alimenta discriminazioni e una sorta di ignoranza artificiale, come chi scrive ha descritto ne Gli Arrabbiati e Disuguaglianze.
Non sono solo ombre però, ci sono anche delle luci nel sistema formativo italiano. Secondo il manager Alfonso Fuggetta, se consideriamo le università Top 1000, gli Stati Uniti scendono giù nella classifica relativa alla percentuale degli atenei presenti, mentre l’Italia sale al quinto posto. Letto in altro modo, in Italia il 20 per cento circa delle università del paese offre una formazione da Top 1000. In Usa sono solo l’8,4 per cento e in Francia la percentuale scende al 7,5 per cento. Ma arrivarci, all’università.
Se solo si spendesse di più davvero per i giovani e meno per reddito di cittadinanza e anticipi pensionistici tipo quota 100, l’Italia potrebbe invertire subito la tendenza. Il Presidente Mattarella ne è consapevole. Perché non affronta il problema anche il governo Conte?
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