E’ di ieri la notizia che la Presidente della Camera Laura Boldrini ha deciso di non attendere oltre e reagire alle offese infamanti e ingiuriose inveite contro di lei tramite i social network. Denunciare legalmente i suoi “haters” e metterli alla gogna pubblicando i messaggi ricevuti. Immagino non con poca sofferenza.
Il tema e’ sempre quello della libertà dell’espressione di pensiero, del web, contro invece il diritto di ciascuno a non essere offeso, denigrato gratuitamente e pubblicamente. Come scritto da molti gli strumenti legali, le norme, ci sono. Sono previste azioni civili e penali contro la diffamazione, la persecuzione anche a mezzo internet, la minaccia ed anche direttamente tramite i social e’ possibile procedere alla rimozione dei contenuti offensivi con un semplice click se sulla tua pagina, ovvero richiedere al provider di pensarci lui tramite una segnalazione. Ma purtroppo il punto e’ un altro: la mancanza di efficacia di questi strumenti. Non tanto quelli di rimozione. Anche se rimuovi il contenuto di una offesa quella resta nella mente della persona che l’ha subita e di chi comunque e’ riuscito a leggerla. Un po’ come chi viene accusato ingiustamente di un reato e poi assolto: la prima notizia esce sui titoli dei giornali e la seconda in un trafiletto. Il punto è individuare gli strumenti più propriamente legali. Dal punto di vista penale i tempi sono comunque lunghi per non parlare di quelli relativi alle azioni civili, la denuncia alla polizia postale totalmente inutile. Gli stessi addetti ti scoraggiano, essendo subissati di richieste rimaste nella maggioranza dei casi inevase. Spesso demotivati anche dalla circostanza che molti autori dei misfatti usano nickname e sono residenti all’estero, così come molti provider e ciò comporterebbe per poter procedere nelle indagini una rogatoria internazionale.
Ma queste difficoltà non possono solo essere superate – come molti si affannano a dire – sostenendo che è sufficiente isolare questi soggetti. Penso che sia importante ab origine, come per altri servizi on line a pagamento (dopo tutto il valore dei social gratuiti e’ di gran lunga superiore o assimilabile ad un sito di e-commerce qualsiasi), procedere alla iscrizione degli utenti con un minimo di obbligo di identificazione degli stessi con un documento di identità o altro elemento utile a tal fine; rendere obbligatoria la collaborazione dei provider quando il diritto alla riservatezza è sopraffatto dal diritto alla dignità della persona, alla sua sicurezza; infliggere sanzioni pecuniarie e amministrative, anche previste a livello privatistico nelle condizioni generali d’uso dei social. Purché gli utenti siano ben informati ed i provider condividano delle linee guida su questi aspetti rigide promuovendole a caratteri cubitali sul web.
Non sono assolutamente per demonizzare la rete, ma per sanzionare rapidamente chi la usa calpestando in modo violento i diritti altrui. E’ su questo che occorre lavorare per rendere efficaci le norme esistenti e dare agli organi di polizia strumenti agevoli per applicare la legge. Identificazione ed identificabilità di tutti. D’altronde siamo in un acquario e tutti consapevoli e vanesi di esserci. Quindi trasparenza come l’acqua e coraggio di dire e di esprimere il proprio pensiero accettando il rischio di essere perseguiti penalmente, civilisticamente o socialmente che dir si voglia non tra un anno o mai, ma subito. Il sogno di ferragosto. Ma a volte i sogni si avverano se si perseguono.
Maria Francesca Quattrone(Partner fondatrice Studio Legale Dike) – foto di Matteo Bernabei RScom Agency
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