a cura di Gaia Grassi

Settembre è ormai concluso ed è tornata la routine. In questo senso il ritorno a scuola, ogni anno, è uno dei più attesi anche se il dibattito pubblico sul tema è estremamente frammentato a livello europeo sia nella sua dimensione di diritto all’istruzione che nelle forme e prassi educative. 

Adottando una prospettiva comparata è evidente quanto il livello educativo medio europeo sia eterogeneo e come, purtroppo, per l’Italia non ci siano buone notizie: il nostro Paese è tra i Paesi con il maggior tasso di popolazione avente un livello di istruzione basso (ossia coloro che hanno frequentato solamente la scuola primaria e/o secondaria di primo grado). Infatti, più del 35% della popolazione tra i 25 e i 74 anni ha solamente conseguito un titolo di istruzione primario (max. titolo scuola media), diversamente dalla media UE che si attesta intorno al 20%. La situazione non migliora neanche se analizziamo la percentuale di coloro che hanno ottenuto un titolo di laurea. Anche qui siamo tra i fanalini di coda, preceduti solamente dalla Romania e dall’Ungheria, con appena il 30% dei giovani tra i 25 e i 34 anni che hanno ottenuto un livello di istruzione terziario. Giusto per avere un parametro di confronto, in Irlanda la percentuale supera il 60% e la media UE supera il 40%, prendendo in considerazione sempre lo stesso range d’età.

I motivi di questa crisi educativa sono molteplici e strettamente connessi sia alle politiche intraprese che al sistema economico del nostro paese. Differentemente da ciò che accade in molti paesi UE, l’accesso alle università pubbliche italiane non segue de facto una base universalistica, ma è spesso frastagliato da costi non sempre facili da gestire e da un’offerta di borse di studio che non riesce mai a soddisfare la domanda. Ancora più pressante resta il problema del cosiddetto mismatch educativo: un disallineamento tra i titoli conseguiti e il relativo mercato del lavoro e se da un lato moltissimi datori di lavoro fanno fatica a trovare giovani laureati in moltissimi settori, dall’altro persiste il fenomeno dell’overeducation soprattutto nelle scienze sociali in cui i neolaureati superano la domanda e tendono molto spesso a lavorare in settori diversi rispetto al titolo conseguito.

Il nostro Paese inoltre non investe sufficientemente nell’istruzione: da una parte, la spesa pubblica investita Ricerca e Sviluppo è pari al 3.1% del PIL, al di sotto di moltissimi stati UE, e dall’altra la retribuzione media per i neolaureati risulta più bassa rispetto ai corrispettivi europei, disincentivando così i giovani del Bel Paese a proseguire in un percorso di studi. Questa mancanza di investimento è strettamente connessa al tessuto economico, in quanto, contrariamente a ciò che avviene altrove, molti settori chiave della nostra economia spesso non necessitano di un’alta specializzazione (e.g. turismo e ristorazione). Tutto ciò infatti porta ad un duplice risultato: da una parte una mancanza di domanda di laureati e, dall’altra, un’allocazione inefficiente. L’investimento nell’educazione, al contrario, dovrebbe rappresentare una prerogativa delle istituzioni democratiche. Maggiore formazione indica maggior capitale umano, una più alta retribuzione e un’opportunità di crescita notevole per l’intera nazione. 

Fare di più e meglio è tanto doveroso quanto complesso ma, in un quadro di competenza transnazionale, l’Unione europea inizia a muovere importanti passi per affiancare gli Stati membri in questo processo. Cruciale è la funzione che svolge  l’European Education Area, le cui iniziative hanno l’obiettivo di aiutare e promuovere la collaborazione dei Paesi nel miglioramento del livello di istruzione e training all’interno dei singoli stati. Tra gli obiettivi promossi dall’EEA per il 2030 spunta l’innalzamento del livello d’istruzione tra i giovani tra i 25 e i 34 anni, almeno il 45% deve raggiungere “a higher education qualification” (livello di istruzione maggiore) e meno del 15% dei quindicenni deve conseguire dei risultati insoddisfacenti in matematica, comprensione del testo e scienze durante i PISA Test. I progressi, relativi ai diversi target, sono poi costantemente monitorati nei report accessibili tramite apposito sito-web. Mentre, se si parla di progetti attivi educativi che fanno bene alla cooperazione tra Stati membri è bene sempre ricordare la moltitudine di programmi Erasmus che danno l’opportunità ai giovani europei dai 13 ai 30 anni di svolgere progetti di mobilità ai fini dell’apprendimento. Altra proposta innovativa è quella promossa quest’anno dalla Commissione Europea di creare una laurea europea, assegnata in maniera congiunta da diverse università. 

Restando invece alle manovre messe in campo, i fondi destinati dal PNRR all’istruzione rappresentano un’importante rampa di lancio per il sistema educativo italiano. In particolar modo, il nostro Paese punta ad avviare sei grandi gruppi di riforme, tra cui una riorganizzazione del sistema scolastico, riforme legate agli ITS e agli istituti tecnici così come un cambiamento nel sistema di reclutamento del personale docente e investimenti infrastrutturali per la messa in sicurezza degli edifici, la costruzione di nuovi edifici per l’ampliamento dell’offerta educativa, specialmente per i più piccoli, e la conversione verso una didattica che sia più green e digital. 

Parlare di istruzione è sempre altamente complesso, ma è bene ricordare il ruolo che l’educazione svolge nella nostra vita: poter ricevere un’istruzione gratuita, di alto livello ed universale consiste nel poter maneggiare un’arma fondamentale, quella della libertà. Investire in Ricerca e Istruzione non significa esclusivamente poter aspirare a lavori con una più alta o semplicemente degna retribuzione, ma poter garantire ai cittadini e alle cittadine di essere i protagonisti critici della realtà in cui si è immersi, e per l’Italia, così come per l’Unione Europea, sono compiti inderogabili.