Conoscere per deliberare predicava, oggi potremmo dire, inutilmente, Luigi Einaudi. E a questo adagio sembra fare riferimento Emma Bonino, che in una bella intervista all’HuffPost Italia, analizza il dibattito parlamentare sulla legge per lo Ius Solis, che effettivamente si tratta di uno Ius Culturae, una cittadinanza che si conferirebbe a chi è da tempo in Italia, come finge di ignorare il Centrodestra.
«Stiamo scoprendo troppo tardi che la politica non è solo l’aritmetica e che a una posizione conservatrice, da tempo si doveva contrapporre una analisi e una proposta diversa di gestione di questo complessissimo problema che è l’integrazione e la mobilità globale. Su questo il ritardo è stato enorme e a creare confusione ci si sono messi anche diversi esimi colleghi giornalisti, per cui sembra che lo ius soli venga dato direttamente sui barconi, insieme col salvagente. Ora, anche se con colpevole ritardo – afferma Bonino nell’intervista raccolta durante la campagna “Ero Straniero” – un po’ di gente, anche con livello di responsabilità, si sta accorgendo che se si continua a seguire una politica che si identifica con l’aritmetica, questo non va bene. Sia chiaro: io non sto affatto sottovalutando il problema di avere una maggioranza, dico però che reazioni tempestive avrebbero forse creato anche un clima diverso attorno ad una vicenda che non è stata gestita. Io continuo a sentirmi addosso l’onore e l’onere, ahimè, di aver fallito, ma di aver proposto un referendum per la modifica della Bossi-Fini nel lontano 2013, salvo che siamo arrivati solo a 300-400mila firme. Non è che allora avessi la palla di vetro: basta guardare un attimo fuori dal Grande Raccordo Anulare, alzare lo sguardo verso il Sud del Mediterraneo, leggere qualche cifra, per capire che non si trattava di un fenomeno emergenziale dell’estate 2013, ma era un problema strutturale. Non è un caso che l’Italia sia uno dei pochi Paesi che non abbia lo ‘ius culturae’, perché quello su cui oggi si discute non è lo ‘ius soli’, perché lo ‘ius soli’ intende che se tu nasci in un Paese di quel Paese sei cittadino. Il nostro è uno ‘ius soli’ ultramoderato, per cui si deve essere figli di almeno un genitore italiano, aver abitato in Italia per almeno sei anni, aver fatto un percorso scolastico, etc. Uno ‘ius soli’ molto rigoroso, persino troppo da certi punti di vista.»
Dunque, parlare di Ius Soli è fuorviante, come sostiene da tempo La Nuova Europa, cambiare il nome al DDL, fermo al Senato per mancanza di numeri, sarebbe utile a capire a cosa serve. A conoscere per deliberare. E votare. Forse siamo ancora in tempo.