di Roberto Sommella
C’è un giudice in Europa. Perché è stata depositata una sentenza che segna una pietra miliare nella gestione dei flussi di migranti in Ue e che potrebbe anche diventare un assist formidabile per chi vuole punire i paesi dell’Est, come l’Ungheria di ViktorOrban, che stanno approfittando della pandemia di Covid-19 per una svolta autoritaria.
La Corte di giustizia europea ha infatti condannato Polonia, Repubblica Ceca e Ungheria per non aver rispettato l’accordo sui ricollocamenti. I tre Paesi, che assieme alla Slovacchia costituiscono il cosiddetto gruppo di Visegrad si sono rifiutati di adeguarsi al meccanismo, non fornendo a intervalli regolari di almeno ogni tre mesi, il numero di migranti adeguato da ricollocare nel proprio territorio. Tutto risale all’epoca della crisi migratoria fronteggiata dalla Germania con un milione di ingressi, cui seguì la chiusura delle frontiere tedesche e del corridoio balcanico. Con effetti immediati anche dell’Italia.
A settembre 2015 il Consiglio dell’Unione Europea aveva deciso che 120mila richiedenti asilo avrebbero dovuto essere ricollocati dall’Italia e dalla Grecia in altri Paesi dell’Unione. Obbligo cui i tre Paesi sono venuti meno. Polonia e Repubblica Ceca, aggiungono gli ermellini lussemburghesi, hanno inoltre disatteso una precedente decisione del Consiglio per la ricollocazioni, su base volontaria, di 40 mila richiedenti protezione internazionale.
Per la Corte, che ha respinto i ricorsi, i tre Stati «non possono invocare né le loro responsabilità in materia di mantenimento dell’ordine pubblico e di salvaguardia della sicurezza interna né il presunto malfunzionamento del meccanismo di ricollocazione» per sottrarsi all’applicazione del meccanismo stesso” .
Sarà curioso vedere se qualcuno ora denuncerà l’Ungheria per violazione dello stato di diritto.
In caso non dovessero nuovamente adeguarsi al meccanismo la Commissione potrà proporre un altro ricorso chiedendo delle sanzioni pecuniarie. (riproduzione riservata)