L’Italia resta nel solco europeo ma deve affrontare le sfide di una crescita sempre più disuguale.
Nel giorno in cui si sblocca la crisi per formare un esecutivo a guida Cinquestelle-Lega con Giuseppe Conte premier incaricato, Confindustria si scopre per la prima volta nella sua storia all’opposizione, ma soprattutto ammette che non sempre dove vigono i regimi democratici la crescita è la più forte.
E questa è la sfida più importante che deve cogliere il professore pugliese che ha già tracciato la sua linea di “avvocato di tutti gli italiani”: mantenere l’Italia nel solco europeo, confrontarsi subito con le sfide dell’Unione bancaria, il budget comunitario e la riforma del diritto d’asilo. In una parola, rappresentare il paese, se riuscirà nel suo intento, in un momento molto difficile e con spinte riformiste.
Il nostro paese oggi è rappresentato così: da una parte, l’establishment, il mondo produttivo e della finanza, le diplomazie europee, la Bce, che temono scossoni anti sistema, dall’altra, il governo del cambiamento o almeno l’esecutivo che vorrebbe cambiare qualcosa.
Sarà interessante vedere come dialogheranno questi due nuovi mondi. Non proprio per scelta, perché da sempre i mondi dell’azienda e quelli della politica dialogano, si attraggono e si respingono a seconda dei temi sul tappeto, ma per mancanza al momento di chiari riferimenti politici a Palazzo Chigi, il pianeta impresa oggi è più lontano da Roma, proprio come la produttività cala in virtù del sacrosanto rispetto dei diritti dei lavoratori e si impenna dove questi ultimi sono solo nei libri di storia. Cadono tutte le certezze.
È stata quindi una strana sensazione attraversare le sale dell’Auditorium di Renzo Piano nel corso di una giornata ad altissima tensione, mentre si celebrava l’assemblea annuale degli imprenditori proprio nel dì fatidico per un gabinetto gialloverde.
Se ancora esistono molte nubi sul governo del cambiamento, come lo hanno battezzato Luigi Di Maio e Matteo Salvini, il leader degli imprenditori, Vincenzo Boccia, si è chiesto davanti a una platea gremita, più attonita per la fase che tutti viviamo che plaudente, dove si troveranno i soldi per le tante promesse elettorali e ha scandito la fedeltà del sistema impresa alla causa europea e al mercato unico. Come dargli torto, se nel caos l’unica risposta resta l’unione. Soprattutto se si è dentro al mercato più ricco del pianeta. Soprattutto se si sta nella parte più benestante.
Il pensiero di viale dell’Astronomia riflette quello di tante multinazionali che già si interrogano sul futuro euroscettico di un intero continente e sulle possibilità di investimento.
Solo restando in Europa e cambiandola “da dentro”, l’Italia potrà preservare la sua industria, il suo export record (540 miliardi nel 2017 di cui l’80% derivante dal manifatturiero), la sua stessa immagine nel mondo dove, e questa è stata l’affermazione più forte del leader di Confindustria, “crescita e democrazia non vanno più di pari passo e a volte la crescita è maggiore nei paesi non democratici”. Una presa di coscienza per certi versi drammatica, ma realistica, se si pensa alla peculiarità inedita del momento italiano, al nervosismo dei mercati, alla pressione indebita che l’Unione Europea ha messo addosso alla Presidenza della Repubblica, ai partiti usciti vincitori dalle elezioni del 4 marzo, a un paese intero che, per usare le parole di Carlo Calenda, leader in pectore di un mondo confindustriale tentato dall’opposizione quasi per assenza di riferimenti storici (lontani i tempi di Berlusconi premier imprenditore), è molto più forte di chi lo vuole fragile.
È presumibile che la tentazione di stare dall’altra parte passerà ben presto, quando l’esecutivo Conte che sta per nascere darà risposte concrete sul lavoro, sull’Europa, sull’abbassamento delle tasse sul lavoro, sulla lotta all’evasione fiscale, sulla tutela della concorrenza, sulle grandi opere e i grandi stabilimenti (“nel mondo si vuole produrre più acciaio e noi vogliamo chiudere l’Ilva”, ha scandito Boccia e starà a Conte trovare una soluzione).
Ma la cifra dell’assise confindustriale la da’ la sensazione che si tocca con mano tra gli imprenditori, tutti al solito tirati a lucido per l’evento seppur in epoca di decrescita felice, è quella nuova consapevolezza che tutto è cambiato in un mondo multipolare in cui i governi possono sempre meno. La stessa consapevolezza degli operai, incedibile solo a pensarlo anni fa.
E allora, se davvero la crescita non la fanno più i governi occidentali e la crescita non crea più benessere generalizzato in Occidente ma aumenta invece le disuguaglianze, la famiglia italiana, quella composta da migliaia di imprese medio piccole, proverà a far da sola. Senza illusioni faustiane di poter stampare di notte la moneta che serve per riempire il mondo di stelle, ma che aumenterebbe invece a dismisura il Leviatano del debito.
L’Italia di oggi è stretta tra i sogni del governo che nasce e la realtà del paese che produce. Vedremo se le cose in qualche modo coincideranno.
È stata quindi una strana sensazione attraversare le sale dell’Auditorium di Renzo Piano nel corso di una giornata ad altissima tensione, mentre si celebrava l’assemblea annuale degli imprenditori proprio nel dì fatidico per un gabinetto gialloverde.
Se ancora esistono molte nubi sul governo del cambiamento, come lo hanno battezzato Luigi Di Maio e Matteo Salvini, il leader degli imprenditori, Vincenzo Boccia, si è chiesto davanti a una platea gremita, più attonita per la fase che tutti viviamo che plaudente, dove si troveranno i soldi per le tante promesse elettorali e ha scandito la fedeltà del sistema impresa alla causa europea e al mercato unico. Come dargli torto, se nel caos l’unica risposta resta l’unione. Soprattutto se si è dentro al mercato più ricco del pianeta. Soprattutto se si sta nella parte più benestante.
Il pensiero di viale dell’Astronomia riflette quello di tante multinazionali che già si interrogano sul futuro euroscettico di un intero continente e sulle possibilità di investimento.
Solo restando in Europa e cambiandola “da dentro”, l’Italia potrà preservare la sua industria, il suo export record (540 miliardi nel 2017 di cui l’80% derivante dal manifatturiero), la sua stessa immagine nel mondo dove, e questa è stata l’affermazione più forte del leader di Confindustria, “crescita e democrazia non vanno più di pari passo e a volte la crescita è maggiore nei paesi non democratici”. Una presa di coscienza per certi versi drammatica, ma realistica, se si pensa alla peculiarità inedita del momento italiano, al nervosismo dei mercati, alla pressione indebita che l’Unione Europea ha messo addosso alla Presidenza della Repubblica, ai partiti usciti vincitori dalle elezioni del 4 marzo, a un paese intero che, per usare le parole di Carlo Calenda, leader in pectore di un mondo confindustriale tentato dall’opposizione quasi per assenza di riferimenti storici (lontani i tempi di Berlusconi premier imprenditore), è molto più forte di chi lo vuole fragile.
È presumibile che la tentazione di stare dall’altra parte passerà ben presto, quando l’esecutivo Conte che sta per nascere darà risposte concrete sul lavoro, sull’Europa, sull’abbassamento delle tasse sul lavoro, sulla lotta all’evasione fiscale, sulla tutela della concorrenza, sulle grandi opere e i grandi stabilimenti (“nel mondo si vuole produrre più acciaio e noi vogliamo chiudere l’Ilva”, ha scandito Boccia e starà a Conte trovare una soluzione).
Ma la cifra dell’assise confindustriale la da’ la sensazione che si tocca con mano tra gli imprenditori, tutti al solito tirati a lucido per l’evento seppur in epoca di decrescita felice, è quella nuova consapevolezza che tutto è cambiato in un mondo multipolare in cui i governi possono sempre meno. La stessa consapevolezza degli operai, incedibile solo a pensarlo anni fa.
E allora, se davvero la crescita non la fanno più i governi occidentali e la crescita non crea più benessere generalizzato in Occidente ma aumenta invece le disuguaglianze, la famiglia italiana, quella composta da migliaia di imprese medio piccole, proverà a far da sola. Senza illusioni faustiane di poter stampare di notte la moneta che serve per riempire il mondo di stelle, ma che aumenterebbe invece a dismisura il Leviatano del debito.
L’Italia di oggi è stretta tra i sogni del governo che nasce e la realtà del paese che produce. Vedremo se le cose in qualche modo coincideranno.