Damiano Ranca
Edoardo Novelli, professore di Comunicazione politica dell’Università degli Studi Roma Tre, apre la dodicesima edizione della Scuola d’Europa con una lezione sulla partecipazione politica dei cittadini europei alle elezioni per il Parlamento europeo, in vista del prossimo appuntamento elettorale di giugno.
Come sono cambiate le campagne elettorali delle elezioni europee dal 1979 ad oggi? Cosa comunicano manifesti politici, spot pubblicitari e contenuti social all’elettore e, soprattutto, i gruppi politici del PE dei seguono una linea comune nelle loro campagne? Il sempre più diffuso euroscetticismo è un tratto caratteristico dell’Unione o è un sintomo recente?
Questi i dubbi principali che hanno guidato le riflessioni di decine di ragazzi e ragazze durante l’incontro di apertura della nuova edizione della Scuola d’Europa, tenutosi il 16 gennaio nella cornice dello storico liceo romano Terenzio Mamiani. Tra documenti e video storici, domande aperte, ed un’evidente passione per l’argomento trattato, il professor Novelli è riuscito a portare nell’aula magna del liceo temi di stringente attualità che spesso passano sottotraccia nel contesto scolastico.
Tema cardine è la storia del Parlamento europeo che affonda le sue radici nel 1979, anno della prima elezione a suffragio universale dell’organo sovranazionale dell’allora Comunità europea. Fin da quel periodo i partiti politici entravano in fermento in vista del più alto momento democratico, producendo, negli anni, manifesti, slogan, loghi e spot elettorali. Tutto questo materiale non è di certo andato perduto, dato che gran parte è stato raccolto dall’imponente lavoro dell’Archivio degli spot politici, coordinato dallo stesso professor Novelli e finanziato dal Ministero dell’Istruzione e dall’Università Roma Tre.
Ad affiancare il lavoro dell’archivio, è nato con lo stesso scopo anche lo European election monitoring centre (EEMC), co-finanziato dalla Commissione Europea.
Facendosi guidare da queste due fonti, fruibili online da ogni utente, il professor Novelli ha ricostruito le quattro fasi storiche che hanno guidato le elezioni europee: una prima fase (1979-1989) caratterizzata dalla ricerca di simboli e immagini che potessero ben rappresentare questa nuova macchina comunitaria che andava sempre più imponendosi nella vita politica, non solo economica, del Vecchio continente. Servivano rappresentazioni forti che evocassero l’unità europea che era nata dal secondo dopoguerra: si scelse una nave con le vele riportanti le varie bandiere nazionali, un elemento che potremmo dire, oggi, essere sintomatico dello spirito di coesione e di tensione positiva verso il futuro tipico di quel momento storico. La scelta non fu di certo causale, dato che andava a riprendere i ben più risalenti manifesti dello European Recovery Program del 1947, quando la necessità americana di compattare i paesi europei passava anche attraverso immagini e rappresentazioni comuni. La dimensione europea, sia nel dopoguerra sia in questa prima fase, era vista come una naturale proseguimento della politica e dell’identità nazionale, con una pressoché unanime convergenza su queste posizioni da parte di tutti i partiti.
Seguiva la seconda fase, ovvero il periodo elettorale della neonata Unione europea (1990-1999). I toni cominciarono a cambiare e si inizia ad assistere ai primi segnali di critica al progetto comunitario a causa di rinnovate crisi economiche, venti di guerra nelle agende dei governi europei e scarso interesse dell’opinione pubblica verso la svolta politica della Comunità. A ciò si aggiunse, in Italia, il terremoto politico causato dal caso Tangentopoli che portò all’emersione di nuovi partiti antisistema che erano decisamente lontani dalla cultura europeista della vecchia classe dirigente: se Forza Italia si pose ai prodromi di un personalismo politico, anche e soprattutto nelle campagne europee che divenne la prassi negli anni a venire, la Lega Nord propose un’Europa dei popoli, basata sulle diversità culturali e regionali di quei territori che al tempo si facevano portavoce di una svolta indipendentista.
Se fino a quel momento il fulcro delle campagne europee aveva visto un’adesione all’Unione europea pressoché indiscussa, seppur criticata in limitati ambiti, la terza fase (2000-2010) che va dall’introduzione dell’euro successiva crisi dei debiti sovrani è il cambio di passo decisamente più evidente. I manifesti e gli spot elettorali mostrano plasticamente l’ormai diffuso sentimento euroscettico e sovranista. Ora le argomentazioni populiste hanno bersagli e argomenti ben definiti contro cui scagliarsi: le banche, la nuova moneta unica, i Paesi più virtuosi a livello economico, la Banca centrale Europea. È questo il momento in cui i partiti che nutrivano un euroscetticismo al proprio interno riescono davvero a far presa su parte dell’elettorato.
La spaccatura più netta però tra la classe politica europeista e la frangia anti-Unione europea si ha nella cosiddetta quarta fase (2011-2019). È questo un unicum nella storia delle elezioni europee, dato che la linea dell’alleanza europea era sempre rimasta preminente. A contribuire è il netto cambiamento delle campagne elettorali, che sono passate da una comunicazione di piazza, fatta nelle sedi di partito, nei territori e sui giornali, a una comunicazione smaterializzata e virtuale, ma non per questo meno individualizzata e personalizzata; i social network permettono una intima conversazione con il leader, creando un rapporto faccia a faccia non nel proprio Paese, ma online. I classici manifesti e spot lasciano spazio ai più moderni contenuti social, i quali ripropongono vecchie rappresentazioni in una veste nuova: navi sospinte da migranti – non più dalle bandiere degli stati – banche, leader e funzionari europei come nuovi simboli di un’Europa da evitare. L’ala europeista, d’altra parte, è alla ricerca di una nuova Europa, fautrice di un cambiamento ormai inevitabile e reso urgente dalle crisi finanziarie.
A conclusione, il comun denominatore a tutte le fasi e, forse, problema che ha portato a questa deriva euroscettica, è una mancanza di una legge elettorale unitaria e di un’assenza di veri e propri partiti europei. Ciò ha generato delle campagne elettorali che hanno proseguito in ordine sparso nei vari stati membri, dove si è giocato sempre di più sui temi nazionali, che fanno più leva sull’elettorato. A sua volta, questa mancanza di una strategia univoca a livello europeo nelle campagne elettorali dei partiti europeisti, ha lasciato ampio margine per l’emersione del serpeggiante sovranismo e nazionalismo dei vari partiti euroscettici, che stanno sempre più cercando un’alleanza transnazionale anche e soprattutto in vista delle elezioni europee.
Dovrebbe risultar chiaro il fatto che la fase storica che stiamo vivendo sia una eccezione del pensiero europeo nel continente e soprattutto nel nostro Paese: non bisogna dimenticare che l’Italia ha una lunga e convinta tradizione europeista, condivisa dalla totalità dell’arco politico parlamentare. In maniera spiccata negli ultimi anni, coincidenti con la forte crisi del sistema partitico e con la conseguente esaltazione della figura del leader, si è assistito a una svolta populista e sovranista, con l’emersione di vecchi nazionalismi dal sapore ottocentesco. Si è relegata la convinzione all’alleanza europea un tema minoritario nelle campagne elettorali e nei partiti stessi. Ma è davvero un tema poco galvanizzante l’europeismo o una non meglio definita “Europa” è solamente alla mercè di narrazioni polarizzanti tese alla conquista di voti utili per una miglior tenuta del potere a livello nazionale?
Ad ogni modo il responso dell’uditorio è stato chiaro: vivo interesse e una maggiore consapevolezza dell’importanza del voto da parte dei ragazzi chiamati alle urne per la prima volta.