Le ore sono le più dolorose, ma potrebbero diventare mesi, anni. Quella che sembrava potesse essere una conquista nell’arco di pochi mesi è diventata una vittoria indiscriminata su tutti i fronti in poche ore. Il presidente Ghani è fuggito, i talebani sono nel palazzo presidenziale.

La sconfitta è tutto meno che unicamente del popolo afghano. A vent’anni dall’intervento statunitense, la situazione rischia di tornare identica: talebani al potere, diritti già rasi al suolo. Le promesse che i talebani già fanno al popolo afghano sarebbe lusinghiero definirle “da marinaio”.

E così l’aeroporto di Kabul diventa l’ennesimo campo di battaglia. Le immagini degli aerei che tentano il decollo con centinaia di persone disposte ad attaccarsi, decollare e cadere dall’aereo ricordano in maniera spaventosa le immagini dell’11 settembre 2001, quando i puntini che precipitavano erano persone lanciatesi dalle finestre del World Trade Center.

Ma sono immagini che non devono solo scuotere le sensibilità di chi, come i cittadini europei, guardano da molto, troppo lontano. Sono immagini che già in queste prime fasi del nuovo dominio talebano ci raccontano dell’ennesima crisi umanitaria che produrrà, e già produce, fughe disperate.

Questa situazione vorrebbe i Paesi occidentali, le più logiche mete per questi viaggi della speranza, impegnati affinché la tutela dei diritti umani passi in primissimo luogo da loro. Palazzo Chigi, in maniera repentina, ha dichiarato via social di essere pronto a mettersi in prima linea per la difesa dei diritti dei cittadini afghani: «Il presidente Draghi», si legge nel comunicato, «è in continuo contatto con il Ministro della Difesa Lorenzo Guerini e il Ministro degli Esteri Luigi Di Maio. L’Italia è al lavoro con i partner europei per una soluzione della crisi che tuteli i diritti umani, e in particolare quelli delle donne».

Ma la situazione è già drammatica. Secondo l’ONU, in Afghanistan vi sono già 3,5 milioni di sfollati, quasi 400.000 dall’inizio del 2021. Iran e Pakistan, i vicini di casa dell’Afghanistan, già ospitano rispettivamente 780.000 e 1,4 milioni circa di rifugiati afghani. Cifre ovviamente destinate a crescere.

L’Europa è pronta a questo sforzo, che si preannuncia titanico? La storia, fin troppo recente, ci dice il contrario. Prima che la pandemia fosse dichiarata tale e che il lockdown diventasse realtà per l’Italia, nella fine del febbraio 2020 si aprì una terribile crisi migratoria al confine tra Grecia e Turchia. Molto semplicemente, il presidente Recep Tayyip Erdogan decise di “aprire i rubinetti”, lasciando che moltissimi rifugiati partissero dalla Turchia alla volta dell’Europa. Il tutto per ottenere una rinegoziazione dei tristemente famosi accordi siglati e ratificati a inizio 2016 con l’Unione, volti al finanziamento della Repubblica turca in cambio della promessa di non far lasciare l’Anatolia alla volta dell’Europa. Moltissimi di quei rifugiati (circa 3,6 milioni sugli oltre 4 presenti sul territorio turco) provenivano dalla vicina Siria, teatro di una dei conflitti più sanguinosi e duraturi dal secondo dopoguerra ad oggi.

Con quegli accordi, rinegoziati e rinnovati a fine 2020 con un budget da sei miliardi di euro, si andava a stabilire la linea sposata anche dall’Italia su un altro storico fronte di “contenimento” dei flussi migratori, ovvero la frontiera libica. Anche questo patto, pur essendo solo bilaterale tra Italia e Libia, è stato rinegoziato ancor più di recente. A metà luglio 2021 infatti il Parlamento ha approvato una nuova formulazione dell’accordo, in cui si “impegna il governo a verificare, dalla prossima programmazione, le condizioni per verificare il superamento di suddetta missione”. Ma non certo in direzione di un’apertura delle frontiere. Anzi, il Parlamento mira a trasferire le competenze della missione italiana all’europea Operazione Irini, l’erede dell’Operazione Sophia. Nomi e forme diverse, una sola sostanza: contenere l’immigrazione irregolare.

Purtroppo, ci sono volute poche ore affinché le due forze trainanti in Europa, Germania e Francia, mettessero in chiaro la propria posizione sull’arrivo di profughi dall’Afghanistan in territori di uno Stato membro. Nel proprio discorso, il Presidente Emmanuel Macron ha sottolineato l’importanza di «anticipare e proteggerci dai flussi migratori irregolari». Aggiunge, poi, che la Francia si impegnerà per costruire «insieme a Germania e altri Stati europei un’iniziativa volta a costruire senza indugio una risposta solida, coordinata e solida che includerà la lotta contro i flussi irregolari». Qualora non fosse l’assoluta priorità della Francia nell’intera faccenda, senz’altro è una priorità far sapere ai francesi che ci si impegnerà per evitare “flussi irregolari” di profughi.

Allo stesso modo, nel contesto di un discorso storico in cui non si è risparmiata autocritiche sulla gestione del conflitto afghano, la cancelliera Angela Merkel ha lasciato pochi dubbi su dove si concentreranno gli sforzi tedeschi ed europei nella gestione dell’ormai certa nuova crisi migratori. Lontano dall’Europa: «Dobbiamo soprattutto aiutare gli stati confinanti [all’Afghanistan, ndr] nel caso in cui dovessero arrivare dei rifugiati afgani». Il suo vice, ministro delle Finanze e candidato alla cancelleria, il socialdemocratico Olaf Scholz, ha rincarato la dose, sottolineando quanto la Germania debba «ora assicurarsi immediatamente che lì ci siano prospettive di integrazione, che si possa rimanere lì, che si possa ottenere un futuro sicuro lì». Nulla di diverso da quanto visto, dunque, in Turchia. Quest’ultima, poi, potrebbe nuovamente svolgere un ruolo nella crisi migratoria preannunciata, andando a tenere i rapporti con il Pakistan per contenere i flussi.Se l’Europa vuole dimostrarsi pronta ad accogliere chi si vedrà negati i diritti fondamentali a casa propria, ha bisogno di un cambio di rotta. E non solo sul contenimento dei flussi negli altri Paesi.

I dati Eurostat, elaborati da ISPI, mostrano infatti un dato inquietante: su 600.000 richieste d’asilo da parte di cittadini afghani, i Paesi membri ne hanno respinte ben 290.000, quasi il 50%. Tra questi 290.000 vi erano 46.000 minori di 14 anni, di cui 21.000 bambine; circa 25.000 avevano tra i 14 e i 17 anni, e 4.000 erano ragazze. Un totale di circa 30.000 erano donne adulte. Anche i rimpatri sono stati numerosissimi, oltre 70.000, tra i quali vi erano almeno 15.000 donne.

L’Italia, tuttavia, in questo ambito si è dimostrata decisamente più meritevole degli altri Stati membri, accogliendo circa il 90% delle richieste d’asilo.

La risposta di Palazzo Chigi alla crisi, probabilmente, è stata quella meno perentoria sulla gestione del flusso migratorio. Al Tg1 il premier Mario Draghi ha sottolineato come l’accoglienza vada allargata anche a «coloro che si sono esposti in questi anni per la difesa delle libertà fondamentali, dei diritti civili, dei diritti delle donne», aggiungendo però che un aspetto fondamentale della gestione del prossimo flusso sarà «la sicurezza, dovremo prevenire infiltrazioni terroristiche».

Il Presidente del Consiglio segue direttamente il dossier sull’immigrazione. Come si muoverà l’Italia? Sarà d’esempio per l’Europa?