di Silvana Boccanfuso*

*storica, autrice di Ursula Hirschmann una donna per l’Europa (Ultima Spiaggia 2019). Ritratto di Giulia del Vecchio

L’8 gennaio di trent’anni fa, all’età di settantotto anni, moriva a Roma Ursula Hirschmann, raffinata intellettuale e perseverante attivista politica, allora Presidente della sezione romana del Movimento Federalista Europeo. La storia di Ursula è indissolubilmente legata a quella dell’ideale che lei stessa aveva contribuito a far nascere e per la cui realizzazione aveva combattuto tutta la vita: il superamento degli stati sovrani nazionali e la creazione di una Federazione europea come unica forma possibile di convivenza pacifica in Europa. Eppure, nonostante la solidità del suo impegno politico, quando nel 2007 iniziai la mia ricerca, Ursula Hirschmann era una figura ancora trascurata dalla storiografia, destino in realtà riservato a tante altre donne protagoniste a vario titolo della nostra storia recente. Su Ursula circolavano solo poche notizie biografiche, parte delle quali destinate a essere rettificate o smentite in corso di ricerca, e l’immagine romantica – creata dalla penna dell’antifascista Giorgio Braccialarghe e nella quale Ursula era come intrappolata – di «donna contesa in una giostra intellettuale» tra due uomini, sia pur d’indiscusso calibro: il filosofo antifascista Eugenio Colorni e l’ex comunista Altiero Spinelli, due dei tre artefici (Ernesto Rossi il terzo) di quello che è passato alla storia come Manifesto di Ventotene.  Mi rendo conto solo ora, ad anni di distanza, di aver condotto tutto il mio studio con l’unico scopo di fare smantellare quest’immagine che giudicavo… riduttiva. Avevo letto gli scritti autobiografici di Ursula raccolti in Noi senzapatria e la donna che si raccontava in quelle pagine non mi sembrava affatto comprimibile nella semplice figura di «moglie di».

A più di 15 anni dalla sua morte, nel 2007, ricostruire il percorso intellettuale e politico di Ursula evidenziandone la specificità era una necessità storiografica non più rinviabile. Cosa non semplice, soprattutto perché documenti originari (pane di cui si nutre la ricerca storica) sembravano non esistere; o meglio, erano pochi e disordinatamente conservati nei vari fascicoli «A. Spinelli» e «E. Colorni» dislocati in giro per Archivi italiani e non. Nessun fascicolo «U. Hirschmann». Provvidenziale la risolutezza di un’altra donna, Eva Monteforte, che nella sua casa romana, tirando fuori da uno stanzino un grosso faldone pieno di «carte», porgendomelo dice: «Ursula era mia sorella e io voglio che di lei si scriva».

Lettere, racconti, pagine di diario, riflessioni politiche, bozze di progetti: la vita personale e politica di Ursula si rivela in tutta la sua ricchezza; un percorso complesso di una donna con un rigore intellettuale e una forza di carattere davvero poco comuni. Eloquente e poetico un ricordo di Lisli Carini Basso che, nel suo libro di memorie, parlando della difficoltà di gestire la quotidianità della famiglia nella casa a Lanzo d’Intelvi nell’autunno del 1943 e dello sconforto che ne deriva, si chiede come abbia fatto Ursula (che nella stessa casa, a fine estate, aveva trascorso con le tre figlie e Fiorella Spinelli le settimane antecedenti l’espatrio in Svizzera) e la rivede nei suoi ricordi «con le tre bambine, sotto la pioggia, una borsa in mano» lasciare in fretta la casa e l’Italia per incamminarsi «verso l’avventura dell’espatrio». Ecco, se si volesse comprimere l’intera esistenza di Ursula in un’immagine, questa sarebbe forse la più efficace poiché ne evidenzia i tratti principali: l’impegno politico, l’essere madre e donna, la capacità di accettare il nuovo e di adattarsi a esso e, soprattutto, di vivere oltre qualunque tipo di frontiera, anzi, prescindendo da esse. Un vero, innato, istinto cosmopolita.

E infatti l’asse portante di tutta l’azione politica di Ursula è proprio il rifiuto di qualunque linea di divisione tra gli uomini, soprattutto il rifiuto dell’uso della «razza» come linea di divisione tra gli uomini. Il rifiuto di qualunque nazionalismo. È questo credo che fa sì che la poco più che adolescente Ursula prenda posizione contro il nazionalsocialismo a Berlino a inizio anni Trenta, e che la farà diventare negli anni Quaranta – ormai moglie e madre – staffetta e divulgatrice delle nuove idee federaliste europee di Ventotene, a dispetto di qualunque rischio, tanto più grave per lei poiché ebrea. È questo stesso credo che la spinge poi a guerra finita a continuare la battaglia federalista, consapevole che senza una compiuta Unione politica europea c’è il rischio, serio, che i nazionalismi risorgano di fronte al primo momento di crisi, economico o sociale o politico o altro che sia, con tutto il loro carico di «frutti avvelenati […]: successi vistosi, ferite meno vistose ma profonde, spirito di rivincita, vendette e così via fino a nuovi genocidi», per usare parole sue.

Per la realizzazione di una vera unità europea, Ursula combatterà tutta la vita. E inizia a combattere da subito, in realtà. È lei, infatti, che porta sul continente il Manifesto, trascritto su piccole cartine di sigarette nascoste nella federa del pellicciotto, e a diffonderlo. Anche Ada Rossi, moglie di Ernesto, svolge lo stesso ruolo, e le sorelle di Spinelli. Nel 1941-1942 queste donne iniziano un’opera di proselitismo – che prosegue in progressione geometrica – grazie alla quale si riesce a organizzare subito dopo la caduta del fascismo, in poche settimane, una riunione dei neo-federalisti. L’incontro si tiene a fine agosto 1943 a Milano, in casa dei coniugi Rollier. È la nascita del Movimento federalista europeo.

La riunione ha un altro valore per Ursula. Il matrimonio con Eugenio è finito da tempo e in casa Rollier Ursula rivede, dopo due anni, Altiero. Da allora non si lasceranno più. Saranno compagni di vita e di lotta; una coppia solida, affettuosa, appassionata, intellettualmente e politicamente complice. Insieme combatteranno le mille battaglie federaliste all’interno e al di fuori dall’MFE.

La coppia è operativa, insieme, fino a quando, nel 1970, Spinelli è nominato commissario europeo. Impegnato in un ruolo istituzionale Altiero non ha tempo per altre azioni. Ursula si ritrova priva del compagno di lotta di una vita; il suo temperamento, inoltre, non le consente di accettare con serenità il nuovo ruolo di semplice moglie di un alto funzionario europeo. Cade in uno stato di profonda prostrazione che lei stessa, in una lettera a un’amica, non esita a chiamare depressione. Ma Ursula, come ha sempre dato prova nel corso della sua vita, è una donna determinata, capace di trasformare ogni crisi in opportunità. L’opportunità questa volta arriva dalla lettura degli scritti femministi che circolano in qui primi anni settanta.  Ursula tira le fila di tutta la sua vita, emotiva, personale, di donna, di combattente per l’unità europea, di madre, di moglie. Soprattutto concepisce un’idea: convogliare l’energia dei neonati movimenti femministi, e delle donne in genere, in un nuovo progetto federalista. Nasce Femmes pour l’Europe. La data ufficiale di nascita del gruppo d’iniziativa – è così che lo definisce Ursula nei documenti programmatici – è il 24 aprile 1975. È allora che si tiene la prima riunione ufficiale del gruppo.  Importante analizzare la genesi del progetto. Un primo incontro esplorativo, se così si può dire, Ursula lo tiene il 4 aprile 1974. La data precisa la conosciamo grazie ai «Diari» di Altiero che, in quella pagina, annota che Ursula è molto contenta dell’incontro avuto con le altre donne circa la sua idea di creare un gruppo che agisca per l’Europa. Non sappiamo quali e quante donne partecipino all’incontro, vediamo però che, almeno in questa fase iniziale, Ursula ha come unico obiettivo la lotta per il rafforzamento della costruzione comunitaria che sta rischiando seriamente di crollare a causa della crisi politico-economica in atto. È durante la fase di gestazione dell’idea, quando cioè Ursula comincia a incontrare e a interagire con i gruppi femministi nel corso del 1974, che il progetto comincia ad arricchirsi di istanze legate al femminismo e alle politiche di genere. È in questo modo che i due «ismi», federalismo e femminismo, s’innestano.

Il gruppo, subito operativo dopo la sua costituzione ufficiale nell’aprile del 1975, acquisisce immediata credibilità come interlocutore delle Istituzioni europee. Non è certo questa la sede per parlare nel dettaglio di quel primo, e unico, anno di attività di Femmes pour l’Europe, delle sue istanze, delle sue azioni, del Congresso del 7 e 8 Novembre, del rapporto Tindemans e così via. Vorrei invece sottolineare il calibro delle donne coinvolte in varia misura nel progetto: giuriste, sindacaliste, funzionarie europee, attiviste femministe quali Emilienne Brounfault, Eliane Vogel Polski, Fausta Deshormes La Valle, Jacqueline De Groote, Jacqueline Nonon, per citarne alcune.

Purtroppo il gruppo Femmes pour l’Europe ha vita breve, ma per motivi che esulano completamente la volontà della sua fondatrice. Il primo dicembre 1975 Ursula Hirschmann è colpita da un’emorragia cerebrale che la porta quasi alla morte. Riescono a salvarla ma sono costretti ad asportare parte della calotta cranica. Ursula rimane paralizzata e perde l’uso della parola. Riuscirà a recuperare parzialmente il movimento e il linguaggio con un lento, costante, tenace lavoro di rieducazione spinta dall’amore e dalla disperazione di Altiero.

Il gruppo d’iniziativa Femmes pour l’Europe senza la presenza di chi l’aveva concepito s’essoufle, per usare parole pronunciate da Jacqueline de Groote (che prende le redini del gruppo dopo la malattia di Ursula) in una riunione del novembre 1976 che, di fatto, chiude il periodo operativo di Femmes pour l’Europe. Ma il seme era stato gettato, l’idea di Ursula era destinata a sopravviverle sia pure in forme operative diverse grazie all’attivismo politico di altre donne di Femmes pour l’Europe. Fausta Deshormes La Valle e Jacqueline de Groote saranno le due principali artefici del mutamento in nuova forma.

Certo ci sarebbe ancora molto da chiarire su Femmes pour l’Europe e spero ci sia presto l’opportunità di farlo. Io qui mi limito a ribadire che interpretare la nascita del gruppo d’iniziativa in termini di adesione di Ursula Hirschmann al movimento femminista sarebbe un errore, perché Femmes pour l’Europe fu il risultato di numerose considerazioni di natura politica e personale più articolate di una semplice accettazione del movimento femminista. E’ vero, infatti, che l’intuizione che dà origine al progetto è l’idea di «incanalare verso la lotta federalista il dinamismo femminista di questi nostri tempi», ma è anche vero che Ursula, sin dal primo momento, si rivolge a tutte le donne europee indipendentemente dal loro credo politico o impegno sociale. In secondo luogo, si trattò di un’azione federalista, come chiaramente espresso nei due documenti programmatici del gruppo, l’ Appel aux femmes d’Europe e la Lettre d’accompagnement à l’ «Appel aux femmes d’Europe». Le donne di «Femmes pour l’Europe» non chiedono all’Europa, ma agiscono esse a sostegno dell’Europa! La logica di Ursula è stringente: se l’Europa crollasse sotto la scure della crisi generale, un ritorno a politiche nazionali provocherebbe una regressione economica, sociale e culturale di cui soffrirebbero sì tutti gli europei, ma per prime le donne. Essendo, infatti, le loro conquiste più recenti, sarebbero esse le prime ad essere sacrificate. Di qui la necessità che le donne prendano parte attiva, con un peso politico corrispondente alla propria importanza numerica, alla battaglia per una reale unificazione europea. E il loro peso politico è decisivo: è solo con la freschezza, l’immaginazione e il coraggio di forze nuove che una vera, futura democrazia europea vedrà la luce. E questo vale ancora oggi.